È tempo di cambiare

Mentre si tirano le somme dell’ultimo Vinitaly, quello che ha festeggiato i suoi 40 anni di vita, un’altra manifestazione, nata due anni fa, il Mi Wine, sta per prendere il via nella sua forma biennale. La prima, il Vinitaly, ha dimostrato, pur con tanta fatica e con qualche ritardo, di essere la vetrina mondiale del vino italiano, un punto di riferimento annuale per i nostri vitivinicoltori e per gli operatori di ogni parte del mondo che, sempre più numerosi, si danno appuntamento ad aprile a Verona; la seconda, nei due anni che la separano dalla 1° edizione, ha cercato di accreditarsi, cogliendo soprattutto la forza di una piazza grande ed importante come Milano e la scelta dell’alternanza con la Winexpo di Bordeaux, per affermarsi fra i produttori e il mondo, sempre più ampio, degli operatori.
In un libero mercato tutto ci sta, ma solo quando questo mercato esprime anarchia e mancanza di programmazione e vede i suoi principali protagonisti impegnati a darsi la zappa sui piedi.

Per un mondo abituato a un periodo di vacche grasse, diventa troppo faticoso mettersi alla ricerca di soluzioni vincenti per un settore che, oggi, ha bisogno di gambe possenti, di cuore forte e di buona intelligenza per uscire fuori dalle sabbie mobili, che tornano alla luce proprio quando tutti pensano che sono state definitivamente eliminate.
Per esempio, l’intelligenza di dire ai veronesi di fare un altro sforzo per evitare disagi ai visitatori del Vinitaly e, soprattutto, di vedere come riuscire a spostare il periodo, almeno di un mese per dare ai produttori e, soprattutto, ai vini di essere pronti. Cioè evitare di dare spazi ai concorrenti per affermare ancor di più quel ruolo di vetrina unica del grande vigneto italia.
Intorno a questa vetrina temporanea ed a quella permanente, qual è, dal lontano 1960, l’Enoteca italiana di Siena, farei ruotare l’insieme delle iniziative di promozione e di valorizzazione per dare stimoli e ruoli a territori importanti, per esempio le Regioni del nostro meridione, od anche a singole Regioni ed a realtà che hanno, nel vino e/o in altri prodotti tipici, i testimoni della qualità e della diversità, in grado di cogliere le attenzioni del consumatore, anche quello più esigente, e, per quanto è possibile, trasformare questo consumatore in visitatore.
Cioè mettere a rete tutte le iniziative più importanti che sono state avviate in questo nostro grande “Paese del Vino”, per dare spazio ad un vero e proprio sistema organizzativo dei territori, finalizzato alle mille domande che arrivano dal mercato globale e renderlo strumento di eccellenza di marketing. Un sistema che gli altri, parlo dei nostri concorrenti, anche i più agguerriti, non avranno mai la possibilità di creare, perché non avranno mai il tempo sufficiente per recuperare un cammino partito cinquantenni fa, e, perché ad essi mancano, per farlo, componenti essenziali, proprie di un territorio e, cioè, la storia, la cultura, l’ambiente e il paesaggio, le tradizioni, in particolare quelle gastronomiche.

Una rete di cattedrali dei sapori e/o Enoteche pubbliche, a carattere permanente ed a livello regionale e/o subregionale, con tante maglie, legate l’una alle altre, a significare le strade del vino, dell’olio, e…, le botteghe, gli agriturismi, le fattorie didattiche, i musei, i luoghi della ospitalità, i borghi ed i centri storici, e, quant’altro va a rappresentare e presentare un territorio, per dare vita a cento, mille percorsi a disposizione del turista.
Un turista, del tutto nuovo, che ha dimostrato, dopo il successo di “Vino e Turismo”, cioè della sorgente che ha alimentato altre importanti iniziative di successo, a partire dalle “Città del Vino” del 1987, di sapere apprezzare la proposta della scoperta della nostra cultura materiale, che va a completare magnificamente quella altrettanto ricca dei beni culturali e di quelli naturali, un patrimonio unico che, quasi mai, il nostro Paese continua a non saper spendere sul mercato.
Una rete di iniziative, dentro queste strutture e lungo questi percorsi, che, se programmate, possono diventare un strumento forte, originale, di comunicazione, soprattutto di un elemento, la diversità, che ho avuto modo di sottolineare anche in altre occasioni. Un elemento distintivo, oggi, nel momento in cui la qualità, è convinzione generalizzata, va a rappresentare il minimo comune denominatore di qualsiasi azione di marketing che ha, come obiettivo, il buon risultato.
Un processo, come dicevo, avviato da tempo e, per molti aspetti, già consolidato, che ha bisogno di una regia e di sinergie, per essere completato, e del coinvolgimento delle istituzioni, a tutti i livelli, e dei produttori e delle loro organizzazioni per sopperire ai limiti di una viticoltura che ha costi, di produzione e di trasformazione, elevati; ancora tanta frammentazione e scarsa capacità di cogliere le novità; di un comparto soffocato da leggi e regolamenti; di un mondo che, oggi più che mai, ha bisogno di una strategia capace di proiettarlo nel futuro, per non rischiare di continuare a vivere alla giornata, ben sapendo che gli altri, i concorrenti, dimostrano, con i risultati, di essere molto preparati, soprattutto in fatto di marketing.
Un mondo che non può continuare ad accontentarsi di politiche, nazionali e comunitarie, che privilegiano la distillazione per eliminare le eccedenze produttive, che sono, poi, la causa prima della crisi strutturale che colpisce la nostra vitivinicoltura, soprattutto quella del Sud, e non si preoccupano di sostenere l’offerta, nel momento in cui danno scarso rilievo alle azioni promozionali ed alla valorizzazione del prodotto/territorio. Solo l’1,2% ( 14 milioni di euro del miliardo e duecento milioni che ogni anno Bruxelles spende per la vitivinicoltura) per la promozione, mentre quasi la metà dei finanziamenti va alla pratica della distillazione, cioè alla trasformazione del prodotto per non arrivare alla sua distruzione, con un terzo del budget alla ristrutturazione e riconversione dei vigneti. Una politica che alimenta sè stessa con il risultato che non fa che rendere ancor più pesante la crisi ed incerto il futuro della vitivinicoltura.
Bisogna credere che un giorno, spero non lontano, si affermerà la consapevolezza che è tempo di cambiare. Quel giorno, quando le voci del budget vitivinicolo comunitario si scambieranno le cifre, tutto sarà diverso per la vitivinicoltura nostra e per quella comunitaria, con un respiro di sollievo per tutti i protagonisti della filiera e dello stesso consumatore.
Pasquale Di Lena
Articolo per il Chianti

Commenti

Post popolari in questo blog

Nel 2017 il mondo ha perso un’area di foreste grande quanto l’Italia. L’indagine di Global forest watch

Un pericoloso salto all'indietro dell'agricoltura

La tavola di San Giuseppe