il Diario "non per caso" di Bruno Bartoli -presentazione

Molte delle storie riportate in questo stupendo diario Bruno me le aveva già raccontate: mi capitava di rimanere in sede, non impegnato nei corsi di formazione professionale o nelle permanenze sul territorio, e a fine serata, quando non avevo più tanta voglia di lavorare e Bruno era preso solo dall'attesa di aspettare il treno delle sette per Empoli, andavo a trovarlo nella sua stanza di presidenza per sapere delle sue esperienze di contadino e di dirigente sindacale e politico e per approfondire la conoscenza di una persona che mi aveva fatto tanta buona impressione, sin dal primo momento del suo insediamento.
Bruno,che io chiamavo per nome, mentre gli altri, nel rispetto di una abitudine toscana di chiamarsi per cognome, Bartoli, era arrivato alla Alleanza provinciale dei contadini, poco dopo di me, in sostituzione di Vignozzi presidente.
La sua esperienza era per me preziosa, visto che sapevo poco della agricoltura toscana ed, in più, non conoscevo il mondo contadino di questa Regione con il quale cominciavo a confrontarmi solo da poco tempo, grazie alla organizzazione dei corsi di formazione professionale che registravano molti iscritti.
Questo successo di partecipazione, anche di militanti della Coldiretti, aveva un preciso significato politico ed inorgogliva tutti: per la prima volta, grazie alla Regione Toscana, anche l'Alleanza dei contadini, con il suo istituto (CIPA), e le altre organizzazioni di sinistra, avevano la possibilità di sviluppare i corsi di formazione professionale e di offrire assistenza tecnica alle imprese dei coltivatori e dei mezzadri contadini. Siamo nel 1973 e fino allora i corsi erano una esclusiva della Coldiretti, delle ACLI e delle altre organizzazioni cattoliche, che li utilizzavano soprattutto per finanziare l'attività complessiva, a scapito della formazione.
In pratica non solo io, ma anche l'Alleanza dei Contadini, sia provinciale che regionale, vivevamo, con una buona dose di ansia e tanto entusiasmo, questa nuova esperienza che, nel tempo, ha contribuito alla crescita, soprattutto del prestigio, della organizzazione.
Il compito affidato alla squadra dei formatori da Emo Canestrelli, presidente regionale, e da tutti i presidenti delle otto provincie della Toscana, era quello di fare i corsi e di farli bene, non tanto, e non solo, per significare un taglio con il passato e dimostrare di essere diversi dagli altri, ma per il peso e l'importanza che venivano dati dalla nostra organizzazione alla attività di formazione in uno dei momenti più delicati vissuto dal mondo contadino: la frattura sempre più profonda tra città e campagna e lo stato di agonia della mezzadria, con la voglia di fuga dei giovani, ma non solo.
C'era nel compito che ci era stato affidato anche l'importanza ed il peso che ognuno di essi dava alla scuola ed, ancor più, alla cultura che i padroni da sempre utilizzavano per comandare ed assoggettare la massa dei contadini e degli operai.
C'era, in pratica, una voglia di riscatto da una condizione di subalternità che i padroni avevano sempre alimentato con cura rendendo difficile, e spesso proibendo, la scuola, la voglia di sapere e di imparare.
Penso di essere stato, grazie all'avvio di questa nuova attività, il primo, o uno dei primi,in possesso di una laurea ad entrare nella organizzazione e ciò inorgogliva tutti i compagni dirigenti che, me ne sono accorto dopo qualche tempo, mostravano come una soggezione nei miei confronti per questo mio stato di laureato e, per di più, in scienze agrarie.-
Non sapevano che ero io quello che rimaneva in difficoltà quando li sentivo parlare ed anche quando leggevo quello che scrivevano, sapendo che solo pochi erano quelli che avevano avuto la fortuna di frequentare altre scuole oltre le elementari.
La verità è che a nessuno di loro dava pensiero improvvisare un intervento o parlare per spiegare, convincere, coinvolgere, a differenza dello scrivere che era sempre una fatica pesante, che faceva sudare più di qualsiasi lavoro nei campi.
Bruno è stato bravo a prendermi per mano e a guidarmi nel buio della mia prima grande esperienza di lavoro.
Avevo sempre una scusa buona per andarlo a trovare nella sua stanza, alla ricerca di consigli, ma ancor più, per conoscere le sue esperienze, quelle che ho ritrovate in questo diario raccontate, a partire dal suo primo giorno di scuola, tutte di un fiato.
Con il racconto dei fatti e delle situazioni più significative della sua vita di contadino, di mezzadro, di dirigente politico e sindacale e di amministratore comunale e provinciale, Bruno non fa altro che raccontare la storia di tanti dirigenti e contadini e quella, particolare, della sua Toscana, che va dall'inizio della seconda guerra mondiale fino agli ultimi anni del secolo scorso e che vede, nel contributo delle campagne e dei contadini alla Resistenza ed alla Liberazione del Paese dalla dittatura fascista e dall'invasore tedesco e austriaco; nelle grandi lotte mezzadrili e nella capacità di amministrare, con i Comuni e le Provicie e. poi, con la Regione,i momenti più alti e più importanti per la rinascita e lo sviluppo democratico e civile dell'Italia.
Si può ben dire, senza timore di essere smentiti, che la classe dirigente della Toscana, negli ultimi cinquant'anni del secondo millennio, è segnata fortemente dai mezzadri, a tutti i livelli e in tutte le istanze sindacali ed istituzionali, e ciò a significare quale grande momento di formazione politico, sociale e civile era stata la lunga e dura lotta che i mezzadri come Bruno erano riusciti a portare avanti con successo.
Ascoltavo Bruno raccontare queste sue esperienze e mi sforzavo di immaginare i posti, i personaggi a lui familiari, le situazioni e poi le confrontavo con quelle che avevo ascoltato da Rigoletto (Calugi) e da (Fioravanti), altri due importanti maestri e punti di riferimento per me, da Rosati, Biagi di Tavarnelle,Picchi di Fucecchio, Frediani di Cerreto Guidi, Auzzi di Firenze e tanti altri ancora che avevano fatto tesoro delle esperienze vissute nella loro condizione di mezzadri.
Al pari di Bruno sapevano tutti trasmetterti la forza della loro passione per il partito, il sindacato, l'organizzazione; il significato della partecipazione e della lotta; il rispetto per valori fondamentali come quelli della solidarietà e della pace, della giustizia e della libertà e l'importanza, prima sottolineata, della scuola e della cultura.
Da queste storie e da queste esperienze di vita ho imparato molte delle cose che sono riuscito a realizzare nella mia esperienza politica, sindacale ed amministrtiva, e nella attività professionale che mi impegna da vent'anni.
Insegnamenti che fanno da filo conduttore del diario di Bruno, scritto "non per caso ma per (una precisa) volontà" di lasciare ai giovani questo suo testamento morale come guida per uscire dalla situazione difficile in cui sono stati messi dal consumismo esasperato, che è riuscito a divorare i valori e gli ideali che hanno dato a Bruno la forza di credere e andare avanti.
Il diario quale testimonianza, quindi, di una esistenza che continua a credere nella costruzione di un mondo migliore dando fiducia alle nuove generazioni, che devono trovare, nella lezione del passato, le possibilità di essere protagonisti del proprio futuro.
Sta quì, nella attualità e forza del messaggio, la modernità del Diario del mio maestro Bruno.
Non è una forzatura la mia, ma il riconoscimento, dovuto a lui ed agli altri, e la gratitudine per avermi reso un uomo fortunato, convinto che nella vita è fortunato colui che trova un maestro e sa ascoltarlo.

C'è un altro aspetto del lavoro che Bruno mi ha voluto affidare che ritengo importante sottolineare: la registrazione, attraverso il racconto dei momenti più significativi della vita di Bruno, del passaggio epocale, in tutta la sua intensità, della storia che la generazione di Bruno, ed anche la mia, ha vissuto in diretta.
Ogni momento è il puntino di una linea tratteggiata che circoscrive il percorso finale di un mondo, non lontano, di ieri, che non c'è più se non nella memoria di chi l'ha vissuto o l'ha sentito raccontare tante di quelle volte che ha la certezza di essere stato anche lui un protagonista.
Un mondo fatto di millenni che, pur segnato da significative novità, riesce a rimanere uguale lungo tutto il percorso della sua storia
A questo percorso Bruno dà la forma del testimone che i velocisti usano in occasione della staffetta perchè non ci sia alcuna separazione, visto che ieri è già oggi e che oggi è anche domani.
Una operazione che Bruno fa volutamente perchè sa che questa separazione è già una frattura profonda, con un mondo nuovo che si è liberato di tutto del passato, anche dei valori che hanno rappresentato le ragioni della vita, nella sua semplicità e drammaticità.
In questo senso Bruno ha nostalgia, ma non rimpianto, per questo recente passato, che sembra lontano di secoli.
Nostalgia proprio per quei valori che il consumismo, come prima dicevo, è andato divorando senza pietà, lasciando vuoti che pesano e condizionano i comportamenti di ognuno, soprattutto dei giovani
Nostalgia per i suoi amici di infanzia che abbandona nel pieno del gioco per tornare a casa e prepararsi per il suo primo giorno di scuola; per i parenti, le sorelle che si sposano e lasciano un vuoto in casa fin quando Vasco, il fratello più grande, non si sposa e fin quando non arriva il primo nipote; per la famiglia unita da un padre che sa raccontare bene le favole intorno al focolare riuscendo così a farlo sognare. Alla famiglia, anzi alle famiglie, quella sua e quella di Liliana, ai parenti tutti, a Liliana ed ai figli Dusca e Sandro, Bruno dedica le pagine più belle in quanto ad espressione dei suoi sentimenti più delicati.
Nostalgia per la forte solidarietà(noi non eravamo armati...nè organizzati, tuttavia anche in noi cresceva la voglia di fare qualcosa) che il mondo contadino riesce ad esprimere, soprattutto quando non è più sopportabile una situazione di schiavitù che gli stessi padroni avevano, con il fascimo e la sua dittatura, esteso anche alle altre categorie e all'intero paese.
Questi padroni, gli "Agrari", che la borghesia e gli operai, alleati, sconfiggono, dopo venti anni di fascismo e, cioè, di dittatura e di miseria profonda, con la Resistenza e la lotta di Liberazione, al costo di un pesante contributo di morti e di sangue, anche per le sciagurate guerre in cui si era avventurato il fascismo, continueranno a sopravvivere ancora per lungo tempo, condizionando la vita e la crescita della democrazia.
Dopo la lotta di Liberazione e la fine della guerra inizia, con grande determinazione, una nuova campagna di lotta, quella frontale contro il padrone ed il contratto di mezzadria che, per secoli, aveva schiavizzato i contadini e che, nella nuova situazione di Paese libero e democratico, non era più sopportabile.
La lotta per il riscatto della terra e, con essa, delle proprie condizioni di vita e di lavoro sulla base di una piena libertà delle scelte.
Le ragioni di questa lotta stanno nella "urgenza di riformare- come racconta Bruno-il contratto di mezzadria, apportandovi modifiche che esaltassero il ruolo del mezzadro e principalmente: la disdetta per giusta causa, la compartecipazione del mezzadro alla direzione del podere, l'aumento del riparto, che avrebbe dato al mezzadro il 60% dei prodotti, l'abolizione dei patti di pollaio e di tutte le regalie" ma trovano alimento nella "ripulsa verso tutti i padroni e coloro che li rappresentavano (fattore, sottofattore, fattoressa, etc.) dopo le angherie subite con il contratto di mezzadria"
I mezzadri conoscevano bene i padroni e i loro rappresentanti per averli guardati negli occhi e, ancor più, quando gli occhi li dovevano abbassare provando una umiliazione profonda.
Un rapporto fisico che non riguardava i coltivatori diretti o gli artigiani o i commercianti, che si facevano forte della loro autonomia e libertà, non sapendo che anche loro avevano padroni, solo che non si vedevano, nascosti, com'erano, dietro sigle sindacali e di partito.Sta qui, da una parte la naturale alleanza dei mezzadri con la classe operaia (un concetto di alleanza che è anche dell’Alleanza dei Contadini e che Bruno esprime con le iniziative di solidarietà con gli operai e di incontro con gli studenti della Facoltà di Agraria di Firenze) e, dall’altra la facilità, per alcune organizzazioni, di costruire dighe che non permettono neanche il dialogo tra il mondo del lavoro e quello delle categorie autonome come i coltivatori diretti.
Per anni questo muro è sembrato insommortabile fino a quando non si sono create le condizioni e le volontà per un suo superamento.
Conoscendo Bruno e la sua innata modestia posso capire perché quasi sorvola su un episodio che meritava un’attenzione particolare: i due incontri con Picchi, direttore della Coldiretti di Firenze, che hanno rappresentato la prima picconata alla possente diga di Bonomi che aveva diviso i contadini in due mondi distinti e separati. Un fatto storico che noi della Alleanza dei Contadini e della Federmezzadri abbiamo vissuto, insieme a Bruno, con grande emozione, grazie alla lungimiranza sua e di Picchi.
Per chiudere queste brevi riflessioni, dico che non sono rimasto per niente meravigliato di questo diario scritto da Bruno perchè esso è la realizzazione di un sogno che, ne sono certo, lo accompagnava da lungo tempo.
E non sono neanche meravigliato del riconoscimento con il "Premio LiberEtà 2002", giunto alla sua quinta edizione.
La mia meraviglia sta nel fatto che ha chiesto a me la presentazione, dopo un lungo silenzio causato dai miei impegni di lavoro che mi vedono, da anni sempre in giro con mio sommo compiacimento.
Mi ha ritrovato per darmi la bella notizia, trasmettermi la sua felicità di finalista e la sua volontà di pubblicare comunque il diario anche se il premio fosse stato assegnato ad un altro, come per dirmi che mi dovevo sentire comunque impegnato.
Ho detto di si senza nascondere la mia emozione per questo nuovo importante traguardo raggiunto da Bruno e per l'attestato di una vecchia consolidata e reciproca fiducia, a testimoniare i legami di stima e di affetto che, nel tempo dell'Alleanza e della Confcoltivatori, insieme eravamo riusciti a costruire.
E' bastata una telefonata per capire che gli antichi legami erano rimasti intatti e che bastava solo risvegliarli per renderli ancora più forti di un tempo.

Per chiudere queste brevi riflessioni dico che non sono rimasto per niente meravigliato di questo diario scritto da Bruno perchè esso è la realizzazione di un sogno che, ne sono certo, lo accompagnava da lungo tempo. E non sono neanche meravigliato del riconoscimento con il "Premio LiberEtà 2002", giunto alla sua quinta edizione.
La mia meraviglia sta nel fatto che ha chiesto a me la presentazione, dopo un lungo silenzio causato dai miei impegni di lavoro che mi vedono, da anni sempre in giro con mio sommo compiacimento.
Mi ha ritrovato per darmi la bella notizia, trasmettermi la sua felicità di finalista e la sua volontà di pubblicare comunque il diario anche se il premio fosse stato assegnato ad un altro, come per dirmi che mi dovevo sentire comunque impegnato.
Ho detto di si senza nascondere la mia emozione per questo nuovo importante traguardo raggiunto da Bruno e per l'attestato di una vecchia consolidata e reciproca fiducia a testimoniare i legami di stima e di affetto che, nel tempo dell'Alleanza e della Confcoltivatori, insieme eravamo riusciti a costruire.
E' bastata una telefonata per capire che gli antichi legami erano rimasti intatti e che bastava solo risvegliarli per renderli ancora più forti di un tempo.
Per chiudere queste brevi riflessioni dico che non sono rimasto per niente meravigliato di questo diario scritto da Bruno perchè esso è la realizzazione di un sogno che, ne sono certo, lo accompagnava da lungo tempo. E non sono neanche meravigliato del riconoscimento con il "Premio LiberEtà 2002", giunto alla sua quinta edizione.
La mia meraviglia sta nel fatto che ha chiesto a me la presentazione, dopo un lungo silenzio causato dai miei impegni di lavoro che mi vedono, da anni sempre in giro con mio sommo compiacimento.
Mi ha ritrovato per darmi la bella notizia, trasmettermi la sua felicità di finalista e la sua volontà di pubblicare comunque il diario anche se il premio fosse stato assegnato ad un altro, come per dirmi che mi dovevo sentire comunque impegnato.
Ho detto di si senza nascondere la mia emozione per questo nuovo importante traguardo raggiunto da Bruno e per l'attestato di una vecchia consolidata e reciproca fiducia a testimoniare i legami di stima e di affetto che, nel tempo dell'Alleanza e della Confcoltivatori, insieme eravamo riusciti a costruire.
E' bastata una telefonata per capire che gli antichi legami erano rimasti intatti e che bastava solo risvegliarli per renderli ancora più forti di un tempo.
pasquale di lena

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