Quello che gli altri non hanno e non possono avere

Per chi ha avuto modo di frequentare il mondo del vino ha avvertito ben presto la noia nel sentire ripetere, anche quando non ce n’era bisogno, il riferimento alla Francia vitivinicola, con l’invito a fare tutto ciò che i francesi avevano già fatto.
Una noia insopportabile, soprattutto per chi ogni giorno cercava di lanciare proposte nuove, partendo da una realtà unica, qual è quella dell’Enoteca Italiana di Siena, la gloriosa e benemerita “Enoteca Italica Permanente”, nata nel 1960, per volontà degli amministratori dell’Ente Mostra Vini, quando si sono trovati nella necessità di chiudere con la biennale del vino di Siena, partita nel 1933.
Un lungo percorso che ha segnato in profondità il mondo del vino italiano, con la sua attività di promozione e valorizzazione e, ancor più, con la sua capacità di segnare il passo della nostra vitivinicoltura mediante l’iniziativa della “Settimana dei Vini” che, ogni anno, dava vita ad un confronto fra tutti i principali protagonisti di un mondo che, preso dalla voglia solo di voler copiare, non si è mai accorto di quello che già aveva ed era riuscito a realizzare.
Anche ora è così, con la variazione che non è più la Francia il punto di riferimento, ma l’Australia, l’America, il Cile o l’Argentina.
Cioè realtà emergenti, molto significative, lontane dalla nostra storia e dalla nostra cultura, dai valori espressi dai nostri territori, che basano i loro successi sulla capacità di programmare le proprie azioni nella vigna, in cantina e, ancor più, sul mercato.
Ho avuto modo, in più occasioni, di apprezzare le relazioni di rappresentanti di questi paesi, in particolare quando hanno parlato di previsioni a medio ( cinque e dieci anni ) e lungo periodo, cioè i prossimi venti anni.
I dati recenti del mercato ci dicono che le loro previsioni sono da considerare valide, ancorché ricche di tanta cautela visto che sono risultate sottostimate.
Certamente sono da prendere in considerazione le politiche che sostengono le azioni di questi nostri concorrenti, perché programmare è una necessità, ma non meno importante è avere la consapevolezza di ciò che abbiamo per capire come utilizzarlo al meglio e renderlo un elemento di forte concorrenza sul mercato globale. C’è da aggiungere che noi abbiamo qualcosa che gli altri non hanno e, cosa non di poco conto, neanche possono avere, perlomeno nel breve e medio periodo, essendo il frutto di un lavoro che viene da lontano e che, nel tempo, si è sedimentato.
Ritorna l’esperienza dell’Enoteca Italiana e delle Enoteche pubbliche, regionali e subregionali; delle Città dei vini, degli oli e di altri prodotti, che sono diventate realtà importanti, soprattutto nella loro capacità di fare emergere il significato ed il valore del territorio, insieme alla cultura contenuta in questo o quel prodotto; del “Turismo del Vino”, che il “Movimento” ha saputo bene interpretare e realizzare, anche grazie alla legge su le “Strade del Vino”; delle “Donne del Vino”; delle Enoteche private e dei Wine bar e di quant’altro ancora ha prodotto iniziative e dato immagine ad un prodotto, sempre più testimone di territori ricchi di storia e di cultura, di tradizioni, soprattutto gastronomiche.
Un ricco patrimonio che ha bisogno di essere semplificato e raccordato, in grado di esprimere tutte le sue enormi potenzialità, perché diventi sistema, a livello nazionale e nelle sue articolazioni locali.
Un sistema che riesce a dare nuovi impulsi ad una agricoltura soffocata da politiche che non hanno (ammesso che lo abbiano avuto nel passato) più senso, proprio perché non hanno mai preso in considerazione il mercato e, di questo mercato, il consumatore, cioè colui che esprime la domanda e, quindi, dà le giuste indicazioni, in pratica, la risposta ai bisogni del produttore; a moltiplicare gli attori, pubblici e privati, ed a renderli protagonisti di un nuovo sviluppo del comparto e, con esso, della economia di un dato territorio; a far nascere nuove iniziative nel senso di un legame sempre più stretto tra agricoltura, turismo e ambiente, dando alla qualità dell’origine, cioè alle denominazioni, quel valore strategico che esse hanno nel campo della valorizzazione e della comunicazione, della sicurezza e fiducia del consumatore. Nelle denominazioni, è bene ricordarlo, c’è tutto il significato della “diversità” che segna ovunque il nostro Paese, cioè di quel valore aggiunto che può essere dato alla “qualità”.
Un sistema che non ha bisogno di politiche di sostegno alla distillazione ( ancora oggi quasi la metà del budget dell’UE ), ma di risorse adeguate ( oggi poco più dell’1% del budget comunitario ) alla promozione di un prodotto che, in Italia, sta perdendo ulteriori quote di consumo, in mancanza di una risposta corretta, in quanto a informazioni ed al rapporto qualità/prezzo, con il consumatore che viene spinto a scegliere altre bevande al posto del vino.
La necessità e l’urgenza di un’attenzione per il vino quotidiano, il solo che può rilanciare i consumi, ben sapendo che esso non squalifica, ma dà ancora più risalto al vino delle guide; non aggrava la piaga dell’alcolismo, ma la limita; non penalizza la cultura, ma la esalta, proprio perché il vino, in quanto prodotto della vite e del territorio, è cultura.
Pasquale Di Lena
Articolo x la rivista Vini

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