Se l’olio è salute e bontà anch’io mi metto a coltivare olivi

» Opinioni & dibattiti di Pasquale Di Lena



E’ questo il ragionamento che, da qualche anno, produttori istituzioni di molti Paesi del mondo stanno facendo, con il risultato che sono già stati realizzati oliveti per migliaia e migliaia di ettari e che la realtà dell’olivicoltura del mondo è cambiata profondamente per “colpa” del successo crescente tra i consumatori dell’olio di oliva. L’Italia ha peculiarità per vincere la vecchia e nuova concorrenza che caratterizzerà il mercato di questo delizioso prodotto.
Invitiamo i nostri lettori a partecipare a questo dibattito, inviandoci opinioni e commenti su questo tema che saremo felici di pubblicare au Focuswine.
Fino all’altro giorno, per significare un tempo non lontano, l’olivicoltura voleva dire Mediterraneo, cioè l’area che lo ha visto nascere e sviluppare nel corso dei millenni. Si, è vero, piante di olivi si potevano trovare in California, quasi sicuramente introdotte da qualche nostro emigrante, ma solo per essere utilizzate come piante da ornamento. Le ho trovate così, a cavallo degli anni ’80, nel Ranch di Frank Sinatra a Palm Spring quando sono andato ad abbinare i vini ad una cena tutta italiana in suo onore. Allora, meno di venti anni fa, “the voice” utilizzava un olio proveniente direttamente dalla Provenza, la Regione nel Sud della Francia, ma, con mia grande sorpresa, ho constatato che nessuno di quel mondo del cinema e dello spettacolo che ruotava intorno ad Hollywood, conosceva l’olio ed il vino, tanto più quelli italiani. Dovrà passare ancora qualche anno prima di vedere nascere una moda diffusa per la buona cucina italiana ed i suoi grandi vini e, perché no, anche i suoi grandi oli.
Intanto inizia,alla fine del secolo scorso, in Australia e Nuova Zelanda, Sud Africa e poi nella stessa America, l’avventura dell’olivo, con progetti di impiantare migliaia e migliaia di ettari e di vivere il successo dell’olio extravergine a tavola, per due fondamentali ragioni: il buon gusto della cucina italiana, e, mediterranea, sulla scia della fama acquisita dalla cosiddetta dieta che porta il nome del mare che ci appartiene; la salute, con la crescita della consapevolezza del rapporto stretto tra corretta alimentazione e stare bene.E’ l’olio, al centro di questa nuova cultura, che diventa, in poco tempo, promotore di iniziative o di percorsi nuovi già in atto, che sono solo all’inizio, se è vero che la Spagna, oggi il primo Paese produttore al mondo di questo delizioso e fondamentale prodotto, sta pensando di impiantare migliaia di ettari in Cile; che la Cina, dove l’olivo è conosciuto da tempo in una piccola area, e, ancor più l’India, pensano di estendere questa coltivazione per rispondere alla crescita della domanda interna.
Ecco che l’Olivo da pianta del Mediterraneo si trasforma in una pianta globale e, l’olio, in un prodotto che cambia il gusto dei consumatori di mondi lontani.E’ pur vero che la Coltivazione dell’olivo interessa il mediterraneo ancora per il 95% e che l’olio trova l’85% del suo consumo ancora in questa area, è anche vero, però, che questi dati si vanno a modificare velocemente e cambieranno nell’arco di pochi anni profondamente.
Come affrontare e guidare il percorso in atto?Con ottimismo e fiducia se si tiene conto delle peculiarità che l’olivicoltura italiana possiede e che altri non hanno, se non in minima parte.Voglio soffermarmi un attimo su due di queste peculiarità: la ricca biodiversità che caratterizza l’oliveto italiano e l’attenzione per la qualità testimoniata dalle 38 DOP ad oggi riconosciute, che sono a dimostrare la tracciabilità della qualità e, ancor più, il significato ed il valore dei rispettivi territori.La possibilità di poter giocare, come è stato fatto con i vini, su due elementi vincenti sul mercato: il numero delle varietà per avere oli particolari, capaci di esprimere virtù organolettiche; il territorio, quale affermazione di una origine ed espressione di un contesto che nessuno può mai clonare e portare altrove.38 Dop e una IGP, con altre decine in attesa di riconoscimento, cominciano a diventare un patrimonio importante, che bisogna solo saper far fruttare attraverso la informazione, la comunicazione ed il coinvolgimento pieno e convinto dei nostri produttori e le iniziative, da programmare e sviluppare con la dovuta continuità. Formazione, informazione, incontri , seminari, degustazioni guidate, servono a spiegare il valore della DOP ai consumatori del mondo ed a far conoscere questi oli, sapendo che possono diventare presto una garanzia per il consumatore.La Spagna, la Grecia, la Francia, il Portogallo non hanno la possibilità di misurarsi con il nostro patrimonio di riconoscimenti, da qui la necessità di far crescere il più velocemente possibile la cultura delle DOP per arrivare sul mercato con una proposta convincente per il consumatore, che, nella generalità dei casi, si perde nell’acquisto non avendo alcuna certezza della qualità del prodotto.La DOP è garanzia di qualità e di tipicità.
Per quanto riguarda il ricco patrimonio di biodiversità, non sono poca cosa le circa 500 varietà autoctone diffuse nei territori, soprattutto delle aree interne, del nostro Paese, a testimoniare la ricchezza ambientale. Circa 500 varietà sono una enormità soprattutto se confrontate con le 53 della Francia, le 22 del Portogallo e appena 20 della Spagna, che esprime fondamentalmente quantità. Con 105 varietà autoctone è la Campania che detiene il primato.Non a caso è proprio in Campania, precisamente a Sorrento, che vive il Concorso più esclusivo, “Sirena d’Oro”, quello riservato ai soli oli DOP, promosso dalla Regione in collaborazione con le Città dell’Olio. Il gioco della unicità che si abbina con la esclusività; della possibilità che dà spazio alle scelte; della rarità che stimola interesse e curiosità; della diversità che apre agli abbinamenti in cucina; sono solo alcuni degli elementi che portano ad impreziosire i nostri oli extravergini ed a renderli non confrontabili con altri.Elementi che devono diventare premesse forti di quelle strategie di marketing che l’olivicoltura italiana si deve dare, per vincere la concorrenza sempre più agguerrita che inizia a caratterizzare il mercato globale.Biodiversità e origine che viene protetta da una denominazione, devono, se ben combinate ed utilizzate, comunicare al consumatore, insieme alle peculiarità, la garanzia della qualità degli oli extravergini italiani per riconoscere, con i successi sul mercato, quel primato di estensione, quantità di prodotto, biodiversità e, fra poco, anche del numero di DOP, che spetta all’olivicoltura meridionale e, in particolare, alle quattro Regioni che hanno l’80% e più dell’oliveto Italia: la Puglia, la Calabria , la Sicilia e la Campania.

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