LA STORIA DELL'ELETTRICITA', DONNA CAROLINA E LA SCOSSA

Se Berardo Mastrogiuseppe non ci fosse, bisognerebbe inventarlo, ma visto che c’è, è giusto utilizzare il suo lavoro di ricercatore di quelle carte che normalmente vengono buttate nelle discariche da imprese che svuotano gli appartamenti da ristrutturare o bruciate dai discendenti che non hanno il tempo né la voglia di scoprire il proprio passato. È merito suo il recupero di un documento, a firma di Antonio Barretta, scritto agli inizi degli anni ’50, che va sotto il titolo “la mugnaia elettrica”. Il riferimento è a una donna eccezionale, Carolina Colagiovanni sposata Battista, vedova e madre di 11 figli (cinque maschi e sei femmine) , che all’età di 62 anni, ancora si occupava del mulino, azionato da una macchina a vapore, avuto in eredità dopo la morte del marito nel 1876, punto di riferimento dei proprietari e dei contadini del circondario.Donna Carolina, racconta il cronista, era una donna piccola e ossuta, austera e autoritaria, come tutte le donne che si trovano a svolgere gli impegni del marito che non c’è più. I figli maggiori, Antonio e Francesco, l’aiutavano a portare avanti questa attività, insieme al figlio che il marito aveva avuto dalla prima moglie, se non sbagliamo di nome Nicola. Gli altri suoi tre figli, due studiavano, legge e medicina (il futuro Don Beppe) a Napoli e uno ingegneria a Torino, sede del migliore politecnico d’Italia. Le figlie femmine le aveva tutte maritate.Una sera d’inverno, era il 1886, racconta il cronista, davanti all’ampio focolare, i due figli maggiori si erano messi a parlare di elettricità e delle possibilità che essa dava all’uomo di aprire nuove opportunità sulla strada del progresso. Donna Carolina che, fino a quel momento sembrava presa da altre faccende, si rivolse ai figli con una serie di domande e quando capì che l’elemento indispensabile era l’acqua, pensò al fiume Biferno. L’unica preoccupazione il pericolo della scossa.Sembra che Donna Carolina non sia riuscita a dormire la notte, non si sa se per l’idea della bella avventura offerta dalla elettricità o per la scossa e il pericolo di morte. Si sa che il giorno dopo fu lei a riprendere il discorso a tavola e poi, dopo altri giorni di riflessione, a conclusione di un discorso esclamò: “ma perché non facciamo anche noi il mulino elettrico, visto che abbiamo vicino il Biferno, il denaro per costruirlo e voi giovani, fortemente affascinati da questa avventura”?La risposta dei figli fu un abbraccio forte alla madre e la impostazione dei primi programmi per arrivare alla costruzione ed all’avvio della grande impresa. Cosa che avvenne nell’ottobre del 1899, nei pressi della stazione ferroviaria, costruita da poco. Il mulino elettrico a cilindri, dopo la costruzione di un canale artificiale, lungo più di un chilometro sul Biferno, nell’arco di tre anni divenne, con i soldi tutti di Donna Carolina, una realtà che portò l’energia elettrica a Larino ed a Guglionesi , dopo due anni che era stata illuminata Roma e un anno prima di Napoli. In tre anni la realizzazione di un’opera complessa, che è niente se si raffronta al tempo per aprire un ospedale o un’altra opera pubblica. A chi si complimentava con Donna Carolina, lei rispondeva che tutto il merito era dei figli e il giorno della inaugurazione, quando tutti la applaudivano e l’acclamavano, davanti a tutte le autorità, alcune venute appositamente da Roma, disse con un po’ di commozione “ma che sono forse diventata il deputato di Larino”?. La storia della inaugurazione si conclude con l’invito del prefetto “signora tocca a lei abbassare la leva; lei è la madrina di questa bellissima opera civile..” Donna Carolina, ritraendosi per un attimo, rispose “Abbassatela voi. Io ho paura della scossa.”La storia potrebbe finire qui, ma merita qualche considerazione. Stiamo parlando di una donna vedova, madre di 11 figli suoi, più uno ereditato dalle prime nozze del marito, che porta avanti, con successo, una impresa impegnativa. In un periodo in cui le donne erano tutte destinate a diventare mamme se avevano la dote per maritarsi. Una donna che pensa a far studiare i figli ed a maritare le figlie. Si vede la centralità e il ruolo della famiglia e la centralità del focolare, insieme alla tavola, luogo di dialogo e di apprendimento. Una donna che sa che il nuovo è un’affascinate avventura e che, una volta che arriva, può far fuori il vecchio, cioè il suo mulino che rappresenta il futuro dei figli, soprattutto di quelli che devono finire gli studi. La capacità di questa donna di capire il valore del territorio e delle sue risorse, in particolare il fiume con la sua acqua e poi il grano con le sue farine.Una donna che meriterebbe molto di più di queste poche righe, che noi abbiamo avuto modo di raccogliere dalla voce abbastanza sonora di Berardo. Speriamo che qualcuno abbia voglia di pensarci a rimettere in piedi storie di un tempo non lontano, che noi riportiamo a pezzetti, così come le raccogliamo girando per i vicoli stretti di questa città che, ultimamente, mostra una memoria corta, anche quando si rifugia nella storia dei Frentani. Lo fa solo per gloriarsi di un passato lontano e poi non dire niente nel momento in cui questo passato viene abbandonato o deturpato.
U faùneie

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