Robin Hood alla rovescia

Riceviamo e pubblichiamo ben volentieri questo articolo del professor Pazzagli, titolare di cattedra presso le università di Pisa, Firenze e del Molise. "Uno storico prestato all'agricoltura" come titola una intervista fatta da Aberto Grimelli uscita sul numero di questa settimana di Teatro Naturale. Esperto di ambiente e di territorio è anche un nostro amico.

Nei giorni scorsi i giornali hanno comunicato i risultati dei premi e dei tagli decisi dal Governo al Fondo di Funzionamento Ordinario 2009 delle Università italiane. Nella classifica stilata dal Ministero della Gelmini, le Università di Foggia, Macerata, Messina e Palermo vengono relegate agli ultimi posti, quindi insieme ad altri 23 atenei, quasi tutti meridionali, saranno penalizzati e riceveranno meno soldi dallo Stato; al contrario, l'Università di Trento, i Politecnici di Milano e Torino, le Università di Bergamo e Genova sono al top della classifica ministeriale e quindi saranno premiati con più soldi. Le zone forti del Paese si rafforzeranno, quelle più deboli soccomberanno. Per fare un esempio, in virtù di questa operazione il politecnico di Milano riceverà 8 milioni di euro in più, mentre l’Università di Foggia potrà contare su un milione di euro in meno.
E' una logica aberrante! invece di premiare i migliori con risorse aggiuntive e sostenere quelle realtà minori che anche per la loro collocazione territoriale ed economica si trovano in maggiori in difficoltà, si operano tagli e travasi di risorse senza che lo Stato si impegni maggiormente nello sviluppo della ricerca e della didattica. Invece di aiutare i più deboli a recuperare, si toglie ai poveri per dare ai ricchi. Robin Hood al contrario. Così si mina il diritto allo studio e l'uguaglianza tra tutti i cittadini italiani; si concentrano le risorse su pochi punti, anziché porsi l’obiettivo di sviluppare realmente il sistema universitario nazionale; si penalizzano drasticamente le università del Mezzogiorno e le discipline umanistiche che tanta importanza hanno nella formazione dei giovani.
I parametri utilizzati per stilare la graduatoria ministeriale non tengono minimamente conto del contesto territoriale ed economico delle singole università: come si fa a paragonare le disponibilità di fondi e le opportunità occupazionali di una provincia come Trento con quelle di Foggia? Per la valutazione della ricerca sono stati utilizzati dati vecchi del 2001-2003, quando alcune università, specie del Sud, erano nate da poco. Stesse perplessità riguardano i parametri relativi alla didattica, che paiono privilegiare quasi esclusivamente il dato quantitativo (il numero di laureati in tempo, il numero di studenti che acquisiscono 40 crediti nel passaggio dal primo al secondo anno, ecc.) e non quello qualitativo. In pratica si privilegia chi abbassa il livello di difficoltà degli esami e dei corsi: strana concezione della tanto decantata meritocrazia! Se una sede avesse regalato voti e esami oggi sarebbe tra i premiati.
E’ chiaro che per le università che operano in città e territori più dinamici, dove è possibile contare su fondazioni bancarie, imprese, enti locali, ecc., è più facile essere virtuosi piuttosto che operando in un tessuto economico stagnante, in contesti privi di infrastrutture e servizi, con livelli di disoccupazione già elevati. Non ci voleva certo la Gelmini per scoprirlo. Inoltre i parametri adottati, che sembrano costruiti per i Politecnici e per certi settori scientifici, mettono in crisi le scienze umanistiche, da sempre un vanto dell’Italia nel mondo.
L’operazione ministeriale così impostata esprime una visione selettiva e discriminatoria, falsamente basata sul tanto sbandierato merito, contraria all’obiettivo di riqualificare l’università italiana e dannosa per i divari regionali e gli squilibri sociali del Paese. Dal punto di vista di uno studente del Sud - poniamo della Sicilia, della Puglia o del Molise - che in questi ultimi decenni aveva visto aumentare la possibilità di studiare nelle sua regione e di mettere a frutto sul proprio territorio le competenze acquisite, ora l’orizzonte torna ad essere quello di una condanna a vivere in un contesto arretrato, con minori opportunità di accesso all’università, dovendosi accontentare di una formazione meno qualificata, ancorata ad una ricerca quasi inesistente, penalizzata da questi ulteriori tagli del governo. A meno che non abbia il coraggio di andarsene via o la fortuna di esere nato in una famiglia abbastanza ricca da permettergli di studiare al Nord, magari a Trento, o ai Politecnici di Torino e Milano. Ma ecco che in questo caso torna evidente la discriminante economica e sociale, quella che un tempo si chiamava con chiarezza discriminazione di classe, la visione di una società diseguale che si esprime chiaramente nei provvedimenti governativi.

Rossano Pazzagli

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