NON C’E’ PACE PER L’AGRICOLTURA



Anche una vendemmia che mostra di mantenere le promesse fatte qualche mese fa, con una quantità di poco superiore a quella dello scorso anno (46,3 milioni di ettolitri) e un’ottima qualità, peserà negativamente sul reddito dei produttori per colpa di un mercato delle uve fermo, che, nel momento in cui si accenna ai prezzi, registra una diminuzione record, comunque non remunerativi dei costi di produzione che, quest’anno, hanno visto una ulteriore lievitazione per colpa dei trattamenti per debellare gli attacchi di peronospora.
Bisogna pensare che la stessa sorte sarà riservata alla prossima raccolta delle olive che parte nella prima decade di ottobre, con buone prospettive di quantità e di qualità.
Per non parlare dei cereali, con il grano che vede calare il prezzo e il mais perdere quote di produzione, e poi dell’ortofrutta, in particolare le mele. Un disastro a livello nazionale che colpisce il settore, oggi più che mai primario e centrale, per ridare spazio di crescita alla economia nazionale e mondiale dopo il fallimento totale di un tipo di sviluppo che ha messo ai margini proprio l’agricoltura. Ciò a causa di scelte politiche a livello mondiale che hanno fatto presa anche sui governi che si sono alternati in questo nostro Paese, ma, soprattutto, a causa di una cultura che si è nutrita e continua a nutrirsi di consumismo e di sprechi, con le televisioni e i giornali che fanno da amplificatori e presa sui cittadini. Una cultura che sostiene e rafforza le scelte della cementificazione di questo Paese, con la pubblicità delle centomila case da costruire per i giovani; delle grandi (inutili e costose) opere e della scelta (altrettanto inutile e costosa) del nucleare. Una cultura che ricade pesantemente sul nostro Molise, indebolito, certo, dai suoi antichi vizi, ma, anche, dal fatto che esso esprime, nel momento in cui l’agricoltura viene abbandonata, la più alta percentuale di ruralità. Ecco come in poco tempo si verifica la abnorme e incontrollata diffusione delle pale eoliche (sono per la energia pulita, ma, onestamente, le esagerazioni e l’anarchia non mi piacciono), che vanno a sostituirsi agli alberi, come a far nascere un nuovo bosco di cemento e acciaio; prossimamente dei pannelli solari al posto dei seminativi, o, come sta succedendo in Abruzzo, la perforazione del 50% del territorio per l’estrazione del petrolio, con il coltivatore che diventa, per fame, complice di amministratori incapaci di programmare e regolamentare il proprio territorio e di imprese, molte improvvisate, che lucrano milioni di euro l’anno con la istallazione di questi aggeggi che, alla lunga, diventano insopportabili, dopo, però, aver distrutto tutte le potenzialità della nostra agricoltura e del nostro agroalimentare. Le sole nostre risorse, le sole nostre possibili fortune. La prospettiva è quella del becco e bastonato anche questa volta.
Un mondo, quello contadino, lasciato allo sbaraglio da chi avrebbe il compito di difenderlo, totalmente abbandonato dalla politica (troppa presa dalla necessità di un eccesso di personalizzazione e di interessi personali) e dalla cultura.
Un mondo che vive i suoi problemi nel più completo silenzio e nell’indifferenza generale, incapace di reagire proprio perché isolato e posto nelle condizioni di dover scomparire per dare spazio ai nuovi e vecchi padroni. E il cibo di oggi e di domani chi lo darà? Voi dite i paesi industrializzati incancreniti da un male che è scoppiato all’improvviso e che sta portando alla sua fine naturale il capitalismo? Penso proprio di no, se non si trovano quelle misure che non si vogliono trovare, in particolare la ricerca della sobrietà contro lo spreco di risorse che la terra non riesce più a dare. Pensate i Paesi sottosviluppati, dove di terra ce n’è tanta, ma non si fa niente per sfruttarla, visto che contano solo petrolio e minerali? Anche qui penso proprio di no, perché restano questi i principali interessi dei padroni del mondo, ma, ancor più, per i bisogni forti, primari di questi paesi, in primo luogo quello di dare una risposta alla fame di un miliardo di persone.
Stanno qui le ragioni che “la grazia di Dio”, qual’è quella di dare all’uomo la bontà di un raccolto, invece di essere gioia diventa disgrazia, per volontà del mercato nelle mani di uomini ingordi e affamati di denaro. E’ il caso della vendemmia 2009 e così della raccolta dell’olive che verrà. L’intento è far pagare ancora una volta all’agricoltura le colpe che non ha ed ai cittadini un prezzo ancora più alto del passato, con l’espropriazione, non solo di un’attività primaria, ma del territorio, il bene essenziale, quello che esprime la nostra identità.
L’unica possibilità di uscire da questa situazione, tragica per le generazioni future, è quella di organizzarsi intorno a questi temi, azzerando le bardature e gli orpelli che hanno portato la nostra agricoltura nella situazione drammatica che è costretta a vivere.
Parole pesanti? Per quel che mi riguarda, credo solo doverose, e, ancor più, necessarie per allargare la riflessione su un mondo, quello contadino, che rischia di sparire proprio nel momento in cui è forte il richiamo alla centralità dell’attività agricola, che serve a far ripartire l’economia e, in più, a salvaguardare e arricchire i nostri territori delle risorse, che questi riescono a dare con dovizia di particolari, in quanto a bellezza e bontà. Il richiamo, anche, alla modernità di questa attività che (è bene ricordarlo), mette a disposizione dell’umanità, il cibo e, con esso, una qualità della vita che, per quanto riguarda la nostra realtà, spesso non viene percepita e, come tale, non si riesce ad afferrare. Si pensi ai valori che il mondo contadino ha saputo esprimere facendo fiorire civiltà, che sono tanta parte della nostra storia e della nostra cultura. E ancor più ai valori che può esprimere e di cui questo nostro mondo, troppo prodigo di banalità, ne ha urgente bisogno per ridare alla vita un minimo di dignità.

Pasquale Di Lena

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