Requiem per un comunista

 Non ho niente da aggiungere a questa sentita dedica a Michele Mancini del direttore de Il Ponte on line, se non il mio personale dolore per la morte di un caro compagno di scuola e un compagno di partito che ho sempre stimato.
Io e lui, insieme ad altri cari compagni e amici di allora, abbiamo avuto la fortuna di incontrare sulla strada della nostra formazione maestri come Ghizzoni, Pietrantonio e Iavasile che ci hanno reso partecipi di due mondi, quello cattolico e comunista, contrapposti, però ricchi degli stessi valori quali: la solidarietà, l'onestà, il rispetto e l'amore per la cultura e la propria terra. Mondi lontani, oggi di grande attualità nel momento in cui di questi valori e, soprattutto della politica, si sente una forte necessità. Non foss'altro che per riempire un vuoto culturale che è l'aspetto del momento che più deve far paura.

 
Se n’è andato come Enrico Berlinguer, ucciso da un’emorragia cerebrale, colto da malore mentre si trovava a parlare in pubblico. Michele Mancini, storico, saggista, autore e scrittore, ricercatore rigoroso, professore di italiano, già presidente della Società operaia e, soprattutto, sindaco comunista di San Martino in Pensilis nel corso degli anni ’70, se n’è andato così: in silenzio, discretamente come aveva sempre vissuto. da malore mentre si trovava a parlare in pubblico. Michele Mancini, storico, saggista, autore e scrittore, ricercatore rigoroso, professore di italiano, già presidente della Società operaia e, soprattutto, sindaco comunista di San Martino in Pensilis nel corso degli anni ’70, se n’è andato così: in silenzio, discretamente come aveva sempre vissuto.
A volte – ma questo lo si capisce solo col tempo che passa – si scopre che la stima e l’amicizia nascono proprio laddove non te lo aspetteresti. E’ capitato così che io e lui, lui comunista e un tempo “nemico” ai miei occhi, e io, nato in una famiglia democristiana e poi approdato alla Destra, diventassimo amici. Oltre all’amicizia, di Michele Mancini ero beneficiario della sua stima. Ci siamo visti l’ultima volta il 2 agosto scorso a Larino, in occasione della presentazione del meraviglioso libro di Peppe Zio (comunista, nemico e poi amico anche lui), “L’albero dei gelsi”. In quella occasione dissi che mi ritenevo una persona fortunata, compaesano di autori locali, dei quali diffido sempre, ma nel mio caso capacissimi e dotati di un’ottima scrittura e di un eccellente guardaroba culturale.
Morto il comunismo, Michele Mancini si era dedicato agli studi, alla scrittura e alla vita privata, pur non disdegnando qualche ritorno di fiamma a quella politica che era stato il suo amore giovanile. Tuttavia, la politica dei nostri giorni non lo appassionava più, anzi lo rattristava. “Pasqualino, ho letto quello che hai scritto sul centrosinistra molisano” – mi disse in quel nostro ultimo incontro del 2 agosto – e io, che sapevo di aver usato in qual pezzo un linguaggio da caverna, mi aspettavo un rimprovero da un uomo sempre misurato e elegante. Ne ebbi, invece, una approvazione. “Condivido quello che dici e che scrivi”, mi disse, lasciandomi un filo di imbarazzo.
Il giorno dopo il malore e oggi, 13 agosto 2012, la morte. Non so chi piangere: se l’amico, l’estimatore o il comunista. Forse li piango tutti ma forse, più di tutti, piango il comunista. Quello del tempo che fu, dei terribili anni ’70, anni di fuoco e di barricate. San Martino, al tempo, era realmente la Stalingrado del Molise: “La collina rossa”, come anche lui la chiamava a quel tempo, suscitando in me il desiderio di raderla al suolo. Poi il tempo è passato, le asperità si sono addolcite e le nostre strade, paradossalmente, si sono sovrapposte nel disincanto per il mondo di oggi e nell’amore per la cultura e per la scrittura. In particolare, la pubblicazione di un mio libro dedicato al grande Fortebraccio, corsivista satirico dell’Unità, saldò definitivamente la nostra amicizia.
Personalmente – ma anche questo l’ho capito col tempo – devo molto ai comunisti del mio paese che, come tutti, hanno lottato per l’equità e la giustizia sociale. Sicuramente devo molto a Michele Mancini, in termini di onestà intellettuale, rigore morale, amore per la cultura.
In apertura di un suo libro, quello dedicato alla Società operaia di San Martino in Pensilis, c’è una dedica ai genitori contadini che (vado a memoria) dice questo: “Ai miei genitori, passati sulla terra come altri milioni di uomini e donne senza lasciare traccia”. Bene, consentimi Michele, dovunque tu sia ora, di dissentire da te. Tu sei la traccia lasciata dai tuoi genitori, una traccia feconda e un esempio di amore per la tua terra e per gli ultimi della terra. Ti sembra forse che questo sia poco? Adesso vai. “Dio - come diceva il tuo e il mio amato Fortebraccio - se ha bisogno degli uomini ha bisogno anche delle bandiere rosse” e tu, ne sono certo, ti presenterai all’ultimo appuntamento con quella bandiera in mano, che è stata la bandiera della tua vita.
Il grande scrittore e poeta portoghese, Fernando Pessoa, ha scritto che la morte è solo la curva della strada e a me piace immaginarti così, un po’ più avanti, in un punto dove noi che restiamo, la tua famiglia i tuoi amici, non riusciamo a vederti. Per ora. Fatta la curva sono certo che ti ritroveremo, con la tua bandiera in mano: quella rossa.
Requiescat in pace, amico di un tempo indimenticabile.

Pasquale Di Bello
direttore il Ponte on line

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