CENTO STALLE, MA, ANCORA MEGLIO SE IL DOPPIO O IL TRIPLO CHE IL MOLISE PUO’ OSPITARE
Quelli che hanno detto subito “NO alla Stalla di 12.000 manze”
nel Molise, hanno detto anche, e subito, “SI a 100 stalle” sparse sul
territorio molisano per non far dire ai fans, che si sono poi mostrati veri e
propri ultras dell’operazione Ruta-Granarolo, “ecco sanno dire sempre e solo no”
o “ecco quelli che negano al Molise di salire sull’unico treno che passa” o,
anche, “ecco i soliti che non capiscono che il Molise può, con la Granarolo,
diventare una grande fattoria” .
Dire “SI” a 100 stalle voleva dimostrare anche che, i veri
talebani, per la verità, sono loro, cioè quelli che dicono sempre e solo Sì, non avendo alcun’altra alternativa.
Quelli deI “No a una stalla di 12.000 manze” e “SI a 100
stalle per 120 manze in media” volevano, così -
visto che comunque 120 capi per ogni stalla non è poca cosa – lanciare
un messaggio che aveva il chiaro significato di non voler negare al Molise una
sua vocazione da sempre, quella zootecnica, essenziale per il 54% e più di
territorio montano.
Una vocazione sì negata, nel momento in cui si è voluta far
passare per modernità la separazione di quest’attività produttiva
dall’altra principale che è
l’agricoltura, entrambe sacrificate alla specializzazione o intensificazione
delle produzioni. Un processo che, a lungo andare, ha mostrato di essere utile
solo alle multinazionali delle macchine e delle attrezzature, delle sementi,
dei fertilizzanti e degli antiparassitari e,anche, di quanti hanno appoggiato
questa politica che la crisi, a partire dall’inizio di questo nuovo secolo,
sta scaricando tutto sui protagonisti
veri dell’agricoltura, i produttori.
Un processo che, anche sotto la spinta di altri fattori, tra
i quali il furto del territorio per altri fini, ha portato e sta portando allo
spopolamento delle campagne.
Certo 200, 300 stalle di 30/50 capi, si adattano meglio al Molise
e servono per affermare subito, e senza riserve, l’unico sviluppo possibile
qual è quello dell’agroalimentare e del turismo ad esso legato. Uno sviluppo
possibile, utile per i giovani che hanno bisogno di occupazione e di speranze
per costruire bene il proprio futuro. Centinaia di stalle che possono dare,
nell’arco breve di tempo, mille posti di lavoro con l’indotto, e non miseri trenta
possibili con la grande stalla della Granarolo; immagine al Molise con le sue
produzioni tipiche e a denominazione geografica, come: latticini e formaggi;
salumi e insaccati; specialità gastronomiche, prima fra tutte la mitica
“Pampanella”; prodotti da forno con i grani selezionati seminati sulle colline
ventilate del Molise e le sue minute pianure, il territorio più vocato alla
vitivinicoltura con i suoi già grandi vini e all’olivicoltura, con i suoi
strepitosi oli e, anche, alla frutticoltura che attinge a una ricca
biodiversità presente da millenni grazie ai minuti orti familiari.
Stalle che possono dare latte di qualità anche per la
Granarolo, che ne ha estremo bisogno per vincere su un mercato che si sa,
nell’arco di qualche anno, sarà fortemente segnato da agguerrite concorrenze.
E, soprattutto, stalle che impostate per una produzione biologica sono in grado
di trasformare, del resto come un tempo,
la merda in letame utile a rendere, volendo, l’intero territorio molisano fonte
di prodotti biologici. Prodotti che, come si sa, stanno conquistando la fiducia
del consumatore del mondo e che, a nostro parere, saranno sempre più vincenti a
tavola. C’è di più, possono diventare anche una frande occasione di richiamo
turistico per vivere un Molise che offre tutto quello che il mondo sta
perdendo: aria sana, acqua potabile, paesaggi meravigliosi, ottima cucina e
un’ospitalità speciale se riusciamo a conservarla naturale così come ce l’hanno
trasmessa i nostri padri e le nostre madri.
Intorno a questo sviluppo è necessario coinvolgere e rendere
protagonisti le aziende agricole e zootecniche, gli artigiani della
trasformazione, i giovani diplomati del nostro istituto agrario e degli
istituti professionali a indirizzo agronomico e alberghiero, l’Università del
Molise e le Università che stanno nascendo nel campo dell’alimentazione, o,
possono nascere nel campo dell’olivicoltura se si riprende quello studio di
fattibilità che la Regione Molise aveva fatto realizzare una decina di anni fa.
Ma non sono le idee progettuali che mancano. No, di queste
idee ce ne sono e, molte, da tempo. Manca un programma di sviluppo che solo un
governo capace e lungimirante può darsi, se si avvale di consigli
disinteressati che stanno venendo fuori dalla discussione, e non di parte, se
pensa al Molise per com’è e non quello che non è. Piccolo, ricco ancora di
ruralità e di agricoltura che, diversamente da realtà, soprattutto del centro e
del nord, oggi costrette a disfarsi delle macerie di uno sviluppo che, con la
pesante crisi, ha dichiarato il suo fallimento, ha solo bisogno di continuità e
di un’accelerazione dei processi per cogliere prima gli obiettivi.
Piccolo, ma anche grande, nel momento in cui questo suo
sviluppo può diventare il ponte naturale con le centinaia di migliaia di
molisani sparsi in Italia e nel mondo, suoi naturali promotori e fruitori dei
risultati di una corretta programmazione, che introduce sul territorio le sue
necessità e non cattedrali nel deserto che ne servono solo a decretarne la
fine.
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