Due milioni di europei contro il TTIP

     di Pasquale Di Lena - Teatro Naturale del 20.06.2015 - editoriale

Un chiaro invito, NO TTIP, alle istituzioni europee e ai suoi rappresentanti a interrompere le negoziazioni e, soprattutto, a non firmare quest’accordo economico e commerciale globale, come pure quello in corso con il Canada, conosciuto come CETA.
 
 
Ecco che quello che qualche giorno prima del 10 giugno u.s. sembrava una cosa ormai fatta è bloccata dalla partecipazione dei cittadini, una volta venuti a conoscenza dei veri obiettivi di una trattativa tenuta, non a caso, in gran segreto.
 
La troppa sicurezza porta anche i più potenti a sbagliare e, nel caso dei due trattati già citati, voluti espressamente dalle multinazionali con la messa in campo di un processo e un percorso che le ha viste protagoniste assolute, viene da pensare alla verità di quel detto popolare “il diavolo fa le pentole ma non i coperchi”, che ben si adatta all’iniziativa in oggetto, portata avanti con forti azioni di lobbing.
C’è da dire che questi potenti colossi pigliatutto hanno mostrato il loro vero volto, che è quello di non badare a spese pur di avere tutto e tutto sotto il loro controllo. In pratica, le pentole – grazie, in un primo momento, all’impegno di pochi e all’esplosione, ultimamente, di un’attenzione e partecipazione dei cittadini - si sono mostrate sproporzionate, visto che sono diventate dei contenitori di grandi questioni come l’ambiente, la salute, la qualità del cibo, i diritti dei consumatori, da mettere a cuocere insieme con la sovranità nazionale di ognuno dei 28 Paesi che sono parte dell’Unione europea.
 
Una vera e propria esagerazione che, però, ha trovato il consenso di governi e forze politiche, se non l’entusiasmo, come nel caso del nostro Presidente del Consiglio, che ha mostrato di avere sempre un occhio attento alle esigenze di chi ha creato e dirige questo sistema, fallito da qualche tempo, che - lo scrive Papa Francesco nella sua Enciclica appena pubblicata-, sta portando il mondo alla rovina.
 
Le multinazionali, attraverso il TTIP e il CETA, hanno espresso il loro vero intento e, cioè, governare il mondo e non avere davanti a sé alcun ostacolo, neanche le istituzioni e i governi democraticamente eletti per avere la piena libertà di stravolgere le regole che i popoli si sono dati, stracciare i principi democratici, decidere e far valere ancor più la loro fame di profitti e di potere.
In pratica, hanno mostrato la loro vera natura, che è quella di appiattire, livellare, uniformare, soprattutto i territori, per dare sempre più spazio, se si pensa all’agricoltura e agli allevamenti, ai processi industriali che hanno come solo e unico obiettivo la quantità, a scapito della qualità e della diversità dei prodotti che si ottengono da queste attività, che, da millenni, “nutrono il pianeta”.
Hanno mostrato anche, con la forza di rendere complici la politica e le istituzioni, la debolezza e i limiti di chi dovrebbe davvero governare la situazione, cioè la politica e le istituzioni.
 
Sono a rischio, come prima si diceva, le democrazie dei Paesi europei e l’immagine stessa dell’Europa, che ha tutto il potere di decisione su questi trattati; la libertà di scelta del cittadino consumatore; i valori e le risorse del territorio e, soprattutto, l’agricoltura e la zootecnia contadine, nel momento in cui trovano spazio l’uso di tecnologie come gli organismi geneticamente modificati (Ogm), e prodotti, da noi e in Europa, non permessi o banditi da tempo, diversamente che negli Stati Uniti e Canada, come gli ormoni per l’ingrasso degli animali o prodotti chimici, in particolare antiparassitari e erbicidi, senza dimenticare l’uso sproporzionato di concimi e fertilizzanti che, nel tempo, riduce a poca cosa la fertilità del terreno.
 
È a rischio l’immagine di qualità e diversità dell’agroalimentare italiano e, non solo, anche di tutti gli altri Paesi europei, annullando, di fatto, un processo per niente facile che la Francia ha avviato a cavallo del ‘900 e che l’Italia ha ripreso facendo proprio il percorso della qualità, quella strettamente legata al territorio, cioè l’origine.
Un percorso virtuoso, avviato prima con i vini (Dpr 930 del 1963) e, poi, nel 1992, con il regolamento comunitario 2081 (oggi 510/2006), relativo alla protezione delle denominazioni di origine (dop) e delle indicazioni geografiche (Igp), e il regolamento 2082 (oggi 509/2006), riferito alle specialità tradizionali garantite (stg). Da questi regolamenti la grande svolta, alla fine del secondo millennio, con il riconoscimento delle tante eccellenze agroalimentari contrassegnate con il marchio Dop e Igp, quale risposta al valore e al significato del territorio con le sue peculiarità; riconoscimento della validità di un percorso tecnico-scientifico in un campo che, grazie alla storia, cultura, tradizione, memoria e professionalità dei produttori e dei trasformatori, produce ciò che dà alla vita energia e senso, il cibo.
 
Un percorso che, attraverso il riconoscimento e la possibilità di riportare il marchio in etichetta, vuole tutelare e garantire il consumatore con i tanti importanti testimoni di questo o quel territorio. Testimoni importanti che, nella quasi generalità dei casi, sono diventati eccezionali promotori di quel turismo enogastronomico che ha rappresentato e rappresenta il valore aggiunto dell’immagine di tanti territori, anche i più sconosciuti.
 
Un percorso che, già nel 2005, ha fatto balzare in testa alla graduatoria dei riconoscimenti l’Italia. Oggi, con i suoi 271 prodotti alimentari riconosciuti Dop, Igp e Stg, è nettamente davanti alla Francia, Spagna, Portogallo e Grecia, cioè i paesi del Mediterraneo, che rappresentano tanta parte dei 1260 riconoscimenti riferite all’intera Unione europea. Un primato dell’agroalimentare italiano che onora i territori e i suoi protagonisti (produttori e i trasformatori) e che fa tanta immagine nel mondo. A questi bisogna aggiungere i 73 vini Docg, 332 Doc e 118 Igt.
Un primato che verrebbe cancellato in poco tempo con l’approvazione del TTIP e del CETA ai quali bisogna dire NO, invitando quanti più possibile a sottoscrivere la petizione (https://stop-ttip.org/it/firma/) per superare l’obiettivo di 2,5 milioni e rimanere, sapendo che verranno incentivate le azioni di lobbing, vigili per denunciare e sconfiggere possibili colpi di mano.
 
Un’azione necessaria per non dare alle multinazionali la possibilità
 di distruggere il territorio, il grande e ricco patrimonio che ancora ci rimane con i suoi valori e le sue risorse ambientali, storiche, culturali, paesaggistiche, agroalimentari, e, con esse, quelle legate alle tradizioni; non permettere a privati l'appropriazione di compiti propri di un governo e di ogni singolo Stato, ben sapendo che, in questo modo, la liberalizzazione e la privatizzazione diventerebbero irreversibili con le democrazie destinate a pagare il prezzo più alto.
 

Commenti

Post popolari in questo blog

Nel 2017 il mondo ha perso un’area di foreste grande quanto l’Italia. L’indagine di Global forest watch

Un pericoloso salto all'indietro dell'agricoltura

La tavola di San Giuseppe