Un brutale attacco alla ruralità

Sempre più spesso il susseguirsi di notizie allarmanti sui media portano a una reazione istintiva, ci ricorda Pasquale Di Lena, mentre dovrebbe essere più meditata per capire come rispondere al brutale attacco alla ruralità, alla biodiversità e alla tipicità

E’ come se c’è una mente diabolica a programmare queste notizie per farle uscire a tempo, con lo scopo ben preciso di confondere ancor più le idee a un cittadino-consumatore già confuso, al punto che si rifiuta di accettarle e discuterle. Sempre che non arrivi il diavolo a metterci la coda e penso, soprattutto, alla notizia di questi giorni del permesso dell’Europa all’Italia d’importazione per due anni di un grosso quantitativo di olio di oliva (35.000 t.) dalla Tunisia, che ha fatto scattare immediatamente le rimostranze del consumatore italiano. Migliaia e migliaia di post sui social network per dichiarare la propria contrarietà e, ciò che va maggiormente sottolineato, la propria preoccupazione per la caduta della qualità e l’attacco all’olio italiano.

Una reazione – c’è da sottolineare - del tutto istintiva, non sopportata da una conoscenza dei fatti che porterebbe non a negare ma a riflettere su una necessità, l’importazione di grossi quantitativi di olio che ormai vive da decenni, con rapporti che riguardano altri paesi, compresa la Tunisia. La dimostrazione di un’attenzione nuova del consumatore per la qualità, dell’olio in particolare e non a caso.
La conferma si può trovare nella crescita della domanda di olio, e non solo, di cibo di qualità, soprattutto biologico, a completamento del ragionamento che la qualità dell’alimentazione è, per un numero crescente di consumatori, salute. In questo senso, viene da pensare a un consumatore preoccupato, di fronte allo smantellamento della sanità pubblica e alla cancellazione di prestazioni mediche e medicinali, che la prevenzione non è più una scelta ma una necessità. Del resto ogni giorno che passa ci rendiamo sempre più conto che sta per venire a mancare la stessa possibilità di cura con lo smantellamento delle strutture ospedaliere e della sanità pubblica.

Una reazione, per altri aspetti, giustificata e, come tale, positiva, che mi aspettavo, ma, per la verità, non così forte. Devo credere che la nuova attenzione del consumatore verso il cibo e quel filo d'olio (di salute) che lo unisce e lo esalta, va oltre la mia percezione e lo stesso processo in atto che pure racconto da tempo.
Mi riferisco al discorso sul Rinascimento dell'olio da oliva che riguarda il mondo intero, l'Italia in particolare, per essere l'olio italiano quello che ha più immagine di qualità nel mondo. Il problema non è da dove viene l'olio da oliva di cui abbiamo comunque forte bisogno, se dalla Tunisia o la Spagna, la Grecia o il Marocco, ma la fragilità della nostra olivicoltura e il potere dell'industria olearia, oggi in mano agli spagnoli, che, per ora, ha imposto le sue regole a scapito degli olivicoltori. Manca – anche qui non a caso - da alcuni decenni una programmazione e un piano del comparto più importante della nostra agricoltura, cioè la bussola per poter raggiungere tutti i porti possibili per il nostro olio da oliva.

Sono un po’ di più, ma ancora pochi, quelli che si chiedono: quale politica per rispondere alla domanda sempre più crescente di olio di qualità del consumatore italiano e mondiale? O, anche: quale sviluppo per la nostra olivicoltura, cioè per il comparto che più serve al rilancio delle aree interne e del sud in particolare? Rinascimento sta anche per una diffusione della cultura dell'olio da oliva che, noi più di altri, abbiamo in eredità dalla storia. Olio di qualità, cioè quello più strettamente legato all'origine, il territorio o, nel caso dell'Italia, ai mille territori che sono la fonte anche della diversità, o meglio, della biodiversità olivicola con quel patrimonio unico di oltre 500 varietà di olivi, il più consistente al mondo.

Ma se il territorio è l'elemento fondamentale, soprattutto per la qualità, c'è da dire, parlando dell’Italia, che l'attuale governo, ha dato una forte accelerazione al processo di distruzione di questo bene comune, il più prezioso per la stessa Costituzione italiana, ancor più là dove è ancora rimasto, Sud e aree interne, con la sua agricoltura ancora contadina e un'estesa olivicoltura. Un governo che si dimostra, sempre più, particolarmente sensibile al volere dei petrolieri, della finanza e delle multinazionali che, approfittando della parola d’ordine “nutrire il pianeta”, hanno dominato la scena dell'Expo ed ora, dopo lo spettacolo, hanno ripreso con più vigore la loro azione a produrre, con ogni mezzo, quantità che sta per lauti e crescenti profitti.

E lo fanno distruggendo foreste con qualsiasi mezzo, anche il fuoco se necessario.
L’obiettivo della quantità comporta l’azzeramento della diversità e, là dove se ne sente la necessità, il livellamento stesso dei territori per una “qualità”, del cibo che ci nutre, uniforme. Non è più solo una sensazione che per queste potenze noi siamo solo numeri e i territori solo distese pianure da sfruttare e, una volta esaurite, da abbandonare.
E’ per questo che, per quanto mi riguarda, non meraviglia la proposta del Commissario Ue, l’irlandese Phil Hogan, di permettere ai vini europei di riportare in etichetta anche il nome del vitigno. Per il nostro Paese questa proposta, visto il primato nel mondo del nostro patrimonio ampelografico, vuol dire una pura e semplice banalizzazione dell’immagine dei nostri vini. In pratica, l’annullamento di un processo virtuoso, iniziato nel 1963 con l’approvazione del Dpr 930 e l’avvio dei primi riconoscimenti di vini Doc, certamente non facile, ma che nel tempo ha portato migliaia di vini, raccolti in 332 Doc e 73 Docg, a diventare testimoni di tanti territori oggi conosciuti nel mondo e punti di riferimento turistico.

C’è da dire che se la proposta oggi fa riferimento ai vini, subito dopo la sua approvazione, riguarderà l’insieme di quel patrimonio unico che sono le Dop e le Igp, cioè l’insieme dei prodotti espressi dai territori italiani e della gran parte dei paesi europei, prima di tutto e non a caso, quelli mediterranei.

Ora, alla luce di queste riflessioni, penso che tutto fa brodo, anche la riforma della Costituzione e della legge elettorale, per togliere ogni ostacolo sulla strada che porta al traguardo della piena e completa privatizzazione e liberalizzazione, con l’approvazione dei trattati Europa-Stati Uniti e Europa-Canada, Ttip e Ceta. I due trattati che serviranno a livellare tutto, con l'Italia a pagare il prezzo più alto, e che permetteranno alle multinazionali di prendere il sopravvento sulla sovranità di ogni paese coinvolto da questi accordi.

Chiudo questa già lunga nota dicendo che se l’accordo per l’importazione dell’olio dalla Tunisia ha portato a una forte reazione del cittadino-consumatore italiano, c’è da credere che essa sarà ancora più forte quando sarà informato delle conseguenze dei trattati sopra citati e, se così, voglio sperare, anche in grado di portare a un ripensamento molti di quelli che dovranno votarli per la loro approvazione.

Per la regola, la speranza è l’ultima a morire.

di Pasquale Di Lena
Teatro Naturale - pubblicato il 05 febbraio 2016 in Pensieri e Parole > Editoriali

Commenti

Post popolari in questo blog

Nel 2017 il mondo ha perso un’area di foreste grande quanto l’Italia. L’indagine di Global forest watch

Un pericoloso salto all'indietro dell'agricoltura

La tavola di San Giuseppe