Giorgio Scarlato e la sua risposta a un commento al suo ultimo articolo

Egregio anonimo, in risposta  al suo commento, lo condivido solo in parte, perché quanto da me sottolineato nel mio articolo, sicuramente per mia colpa, non ho focalizzato bene cosa volevo far intendere proprio perché era già stato fatto in precedenza su altri già postati.
Il mio mondo, quello contadino, non cerca aiuti  o assistenzialismi ma, lo ribadisco, regole certe riferite  nel rispetto sia sotto il profilo della salubrità alimentare che in quelle lavorative quali il giusto salario, tutela del lavoratore quindi dignità lavorativa.  caso contrario, lavorare in dumping significa soccombere.

Nello suo specifico.. rimboccarsi le maniche significa o no operare ad armi pari?
Lo stesso organizzarsi che lei dice…bisogna inquadrarlo nell’ottica come su specificato cioè del rispetto delle regole uguali per tutti, o no?
Sicuramente sarà a conoscenza che l’Italia importa come materie prime agricole ben il 50%,  cioè siamo deficitari, ed il vero made in Italy viene lasciato sui campi (pomodori, arance, finocchi, radicchi, ecc)?
E’ possibile vedersi pagare il latte a 25-30 centesimi? Può chiamarsi  simile comportamento da codice etico?
Se sono contadini siciliani, pugliesi, lombardi o veneti poco conta.  Se tanti si lamentano e non riescono ad inquadrare il problema, al nord come al sud, non può essere imputata all’incapacità o altro.
A tal proposito cito la trasmissione “Ballaro’” di due settimane addietro, presente il ministro alle Politiche alimentari Martina, dove decine di agricoltori veneti  inveivano verso  di lui e si vedeva che gettavano in terra dai loro rimorchi grano e radicchio proprio a causa dei prezzi bassi tali da non coprire minimamente i costi di produzione.
Non si possono imputare  i coltivatori  per incapacità o cooperazione. Non tutti possono fare la filiera corta.
Il “problema agricolo Italia” deve essere inquadrato sotto un’altra ottica; quella della rappresentatività in ambito europeo e dalla incapacità di tutelare il nostro settore sempre stato merce di scambio per l’industria o delle costruzioni di opere faraoniche in altri Paesi , europei e non.
Non certo sono favorevoli gli accordi-capestro, a perdere, quali quelli del Green Corridor, del Marocco, della Tunisia, solo per citarne alcuni.

La sua regola dell’”aiutati che Dio ti aiuta” o “il bisogna ingegnarsi” sicuramente positive ma, scusi il distinguo,  potrebbe rappresentare il caso funzionante simile ad.. una rondine che non fa primavera.

In un incontro tenutosi a Cesena dieci giorni addietro,  che cade proprio a fagiolo, il presidente nazionale della Lega Coop, Giovanni Luppi, ha puntualizzato che, a livello nazionale operano  circa 5.000 cooperative, diverse con alti fatturati.
I vertici tecnico-politici nazionali “hanno deciso” che devono ristrutturarsi  e arrivare a 2.000. Anche lui ha precisato che i problemi di commercializzazione esistono e sono grandi. Ed allora? Come la mettiamo?
Dobbiamo gareggiare con le multinazionali del biotech? Con gli sfruttati di tutto il mondo e quindi allinearci alle loro paghe ed al loro rispetto delle regole?  Dobbiamo soccombere acquistando pollo al cloro e carne ormonata?  Che fine faranno a questo punto  le nostre tipicità DOP , IGT, etc?
Lo stesso assessore regionale all’agricoltura dell’Emilia Romagna, Simona Caselli, ha ribadito che negli anni 50 del secolo scorso gli agricoltori italiani erano ben 16 milioni; oggi si contano meno di 400.000. Chiudono le stalle, chiudono le aziende, diminuiscono i contadini e questo a vantaggio delle importazioni.
Il presidente e l’assessore hanno concluso che proseguendo per questa strada sarà scarsa la possibilità di sopravvivenza e ci sarà l’eutanasia del settore agricolo nazionale. 
Lascio a lei le conclusioni.  Cordialità.
  Giorgio Scarlato

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