L'Italia deve dire No al TTIP

di Pasquale Di Lena

Un quadro che potrebbe arricchirsi ancor più di altri importanti riconoscimenti se i produttori, con le loro organizzazioni e associazioni, gli enti preposti, gli stessi comuni e le regioni, avessero la voglia di mettersi intorno a un tavolo e, insieme, valutare le potenzialità (uno o più prodotti) espresse dal territorio con la storia, la cultura, le tradizioni, cioè quanto serve per impostare e definire un disciplinare di produzione dell’eccellenza o dell’eccellenze considerate degne di riconoscimenti.
Penso soprattutto alle Regioni del nostro meridione e, per tutte, faccio l’esempio del Molise che, da subito, ha la possibilità di arricchire di altre 15/20 indicazioni geografiche, nel campo dell’agroalimentare, il suo bagaglio di Dop (cinque, di cui una sola per un prodotto tutto molisano l’olio extravergine di Oliva “Molise”, mentre le altre quattro sono in compartecipazione con altre regioni) e dell’unica Igp “Vitellone bianco dell’Appennino Centrale”, anch’essa condivisa con altre regioni.
Un potenziale enorme per il Molise e per L’Italia, il Paese che può dimostrare, con i fatti, di avere un paniere ricco di quasi cinquemila prodotti tipici tradizionali, cioè prodotti che sono considerati tali almeno da 25 anni, dal quale poter attingere per altri riconoscimenti Dop e Igp.
Tutto questo grazie a:
- la diversità dei suoi territori, che della qualità rappresentano l’origine, nella loro espressione più ampia di fattori naturali e umani;
- la ricchezza di biodiversità, cioè di quel patrimonio di vita che dà all’Italia primati nel campo dell’ortofrutta, dei prodotti a base di carne, dei formaggi, del vino (oltre 300 le varietà di viti autoctone), dell’olio (500 e più varietà di olivi, sparse su 18 regioni, che sono più del doppio dell’interro patrimonio mondiale). Un Paese – non lo dimentichiamo – che è solo un pezzettino della superficie del globo, meno dell’1%. Un dato, questo, che deve far riflettere sull’uso e abuso del suolo che continua al ritmo di 8 mq./sec.
- quell’agricoltura contadina che è la sola possibile per un Paese come l’Italia ed è, anche, la sola che può affermare la sovranità alimentare e, nel tempo, la stessa sicurezza alimentare, nel momento in cui la terra resta o torna nelle mani di chi la rispetta, il coltivatore, che sa, più del cittadino normale, che essa ha bisogno di cure – non di sfruttamento fine a se stesso - per poter continuare nel suo non facile ma esaltante compito di dare cibo, cioè l’energia vitale per l’uomo e gli animali.
Diversità dei territori, ricchezza di biodiversità, cura della terra, ecco i tre elementi basilari del sistema delle indicazioni geografiche, Dop e Igp, o, per i vini, Docg e Doc. Un processo non facile ma fondamentale per il mercato globale con la continuità del dialogo tra produttori e consumatori nel momento in cui il sistema delle indicazioni geografiche assicura e dà garanzie circa la qualità dei prodotti.
Un processo non facile per i tanti ostacoli che il sistema delle Dop e delle Igp, - così com’è stato per le denominazioni di origine dei vini riconosciute con il Dpr 930 del 1963 e, dal febbraio del 1992, la legge 164 firmata dall’allora Presidente dell’enoteca italiana, Riccardo Margheriti - ha trovato sul percorso, soprattutto da parte di chi ha sempre preferito la quantità alla qualità ed ha mostrato di essere allergico ai disciplinari di produzione ed ai controlli.
Un processo che, però, è andato avanti soprattutto grazie a una cultura fondata sul significato e i valori del territorio, il suo essere origine della qualità dei vini e degli altri prodotti dell’agroalimentare, cioè i suoi testimoni più importanti. Nel 1992 l’uscita del Regolamento 2081 che apre ai riconoscimenti Dop e Igp riservati agli altri prodotti dell’agroalimentare e che porta al quadro che all’inizio ho rappresentato con le cifre più importanti.
Un quadro che, pur tra mille difficoltà, ostacoli, limiti, ha dato un suo importante contributo a:
- la crescita dell’immagine di qualità e bontà dei nostri prodotti, tant’è che un numero importante di essi, vengono regolarmente copiati sui più importanti mercati, in particolare quelli del Nord America;
- l’immagine della Dieta Mediterranea, patrimonio culturale dell’umanità, quale stile di vita e di mangiare in quei territori segnati da vite e olivo, ortaggi, cereali, frutta;
- la fama che vive oggi la cucina italiana in ogni angolo del mondo.
L’approvazione dei trattati in fase di discussione con gli Usa e il Canada, TTIP e CETA, porterebbe ad avere subito l’azzeramento del sistema delle Dop e Igp, Doc e Docg, cioè delle nostre eccellenze, perché esso è, per le multinazionali che, con questi trattati, avranno in mano il potere delle decisioni (anche contro i governi e gli Stati), un ostacolo su quell’unico percorso possibile per loro (già tracciato), la quantità e la libertà di poter fare quello che vogliono.
A pagare il prezzo più alto sarebbe il territorio, il Bene comune sempre più prezioso, un punto fermo della nostra Costituzione che, non a caso, è oggetto di referendum. Il territorio di mille territori, tutti rappresentati da testimoni eccellenti, espressioni di paesaggi incantevoli, attività legate a antiche tradizioni, storia, cultura, che, insieme, sono l’espressione della nostra identità.
Si spiega l’entusiasmo e l’attesa per l’approvazione di questi trattati, più volte espressi, del Presidente del Consiglio, Renzi, come pure sono ben comprensibili le contraddizioni proprie del suo Ministro all’agricoltura, Martini, che, sere fa a Ballarò, ha voluto tranquillizzare gli italiani dicendo che sta lavorando per salvare dal colpo di spugna, ben 25 delle Dop e Igp riconosciute. In pratica - se ho capito bene il suo ragionamento - senza rendersene conto, ha ammesso che è perfettamente consapevole della cancellazione delle nostre eccellenze agroalimentari e di quelle dei Paesi dell’Ue. Non ha spiegato i criteri della scelta delle 25 Dop e Igp a scapito delle rimanenti 257 eccellenze italiane riconosciute, ma lo ha fatto capire un passaggio del suo intervento all’inaugurazione del Cibus di Parma di due settimane fa, quando ha detto (TN n° 19 del 14 maggio u.s.) “Sono Ministro dell’Agricoltura ma difendo l’Industria”. Subito dopo ha continuato dicendo “Serve un’esperienza unitaria dell’agroalimentare che possa contribuire al cambiamento del Paese”.
Quello che serve oggi – visto che l’esperienza unitaria tanto attesa da decenni e mai arrivata per lo strapotere dell’industria e la debolezza del mondo contadino - è l’unità del Paese e dei Paesi dell’Europa a difesa del sistema delle Indicazioni geografiche contro il TTIP e il CETA, i trattati che, se approvati, danno libertà di azione alle multinazionali e, all’insegna della privatizzazione e della liberalizzazione, portano all’annullamento di fato delle sovranità nazionali.
Serve capire, anche, il valore e il significato di un patrimonio unico che è tanta parte del successo di quell’immagine positiva che vive l’Italia nel mondo. Un patrimonio, quindi, che ha bisogno di continuità per dare ancora più immagine e, soprattutto, risposte di reddito al mondo dei produttori che, pur essendo i principali attori di un processo virtuoso, sono stati i più penalizzati. Ma questo, forse, Martina, Ministro dell’Agricoltura, non lo sa, come non sa che le eccellenze Dop e Igp, con i loro territori, sono un Bene comune e, come tali, Beni dell’intera umanità.
 pasqualedilena@gmail.com
TEATRO NATURALE pubblicato il 20 maggio 2016 in Pensieri e Parole > Editoriali

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