GRAZIE ERMANNO



Ieri pomeriggio ho partecipato e seguito, con grande interesse e non senza commozione, l’iniziativa del Comune di Larino, perfettamente coordinata e moderata da Graziella Vizzarri, “Gente mia, omaggio a Ermanno La Riccia”. Il ricordo di un figlio della nostra città che, per affermarsi ha dovuto emigrare in un Paese che, da Settembre ad Aprile ha la terra che dorme sotto una coltre di gelo, il Canada. Montreal e il Quebec, ancor più gelide di Toronto e l’Ontario e di Vancouver e la British Columbia, la provincia bagnata da l’Oceano Pacifico, dove avevo sognato di andare a vivere il tempo della vecchiaia, con scappate in Toscana e nel Molise.
Bene ha fatto il Comune di Larino a ricordare questo figlio che, con il suo impegno e le sue passioni, la sua professionalità e la sua voglia di raccontare e raccontarsi, ha onorato le sue radici profonde e, insieme, la terra che l’ha ospitato e dato le opportunità per esprimersi ed esprimere, fare, e, così, sentirsi degno dei doni ricevuti. e, in più, essere certo che le vicende della vita e i sacrifici, in primo luogo quello del distacco (per ben due volte) dalla sua terra, quale espressione di identità, erano valsi la pena viverli.
Nel rivedere le foto di Ermanno, proiettate sulla parete della Sala conferenze del Palazzo Ducale, sono tornato più volte indietro nel tempo e, in particolare, sulle “Caselle” animate di gente che lasciavano sentire le voci e i pianti delle donne e il silenzio degli uomini impresso dalla fatica sui cantieri o nei campi. Ermanno, lo ricordo davanti alla casa di zio Michele Mammarella (fratello di mio nonno Nicola) e, per tutto il periodo della mia infanzia fino alla sua partenza per il Canada, l’ho sempre creduto figlio dello zio di mia madre, insieme al fratello (allora per me) Raffaele (figlio di Giuseppe, altro fratello di mio nonno), che era partito per fare l’aviatore e vivere la carriera militare. In verità Michele e Maria Giuseppa (sorella del padre di Ermanno, Orazio), che non avevano avuto figli, li avevano adottati dando a entrambi la possibilità di studiare.
Infatti, il ricordo più netto di Ermanno, amico di mio zio Mario di un anno più giovane, è quello di averlo sempre visto con un libro e un quaderno nelle mani, spesso stare lì sulla scaletta di casa degli zii a leggere. Si faceva ascoltare con la sua voce gentile dai toni bassi, come a non disturbare quel silenzio di padri che avevano già provato l’emigrazione (mio nonno e tre dei suoi quattro fratelli, insieme a New York), o le nuove generazioni che si stavano preparando per andare a cercare fortuna altrove.
Ermanno, si distingueva da tutti gli altri proprio per un’espressione e modo diverso di fare, dovuti a questo suo essere studente e non manovale o contadino. Per lungo ho conservato alcuni suoi disegni, fatti con la matita, che mi aveva regalato prima di andar via.
L’altro ricordo che vivo è quando, agli inizi degli anni ’70, Ermanno è tornato a Larino con l’entusiasmo di chi da fuori e dall’esperienza vissuta coglie le straordinarie potenzialità che la propria terra ha e, presto, si deve rendere conto che la realtà - bella, meravigliosa, stupenda, vista da lontano - è piena di muri nel momento in cui la tocchi con mano. Muri spesso insormontabili come quelli di chi non sa e non vuole capire. Muri che, in meno di un anno, l’hanno portato a rinunciare e a rientrare nella sua terra di adozione, dove ho avuto modo di incontrarlo e salutarlo nelle occasioni delle iniziative dell’Enoteca italiana a Montreal e quando, con Filippo Salvatore, ho presentato, con il patrocinio dell’Istituto italiano della cultura, il libro “U penziere”.
C’incontravamo e parlavamo, quelle volte che io tornavo da Firenze, sotto il piccolo slargo di zia Lorena e zia Sofia, quello che si apre scendendo via Belvedere (a ruoie). L’ultimo incontro per annunciarmi, con lo sguardo basso dello sconfitto, la sua decisione di tornare di nuovo a Montreal e riprendere il cammino interrotto che lo ha portato, poi, a vivere di nuovo la sua professione di ingegnere e la sua produzione di uomo di cultura, con altri articoli, altri saggi, altre riflessioni e, infine, la poesia. Quella poesia che è stata il filo conduttore, l’anima, della sua vita.
Altri impegni presi in precedenza non mi hanno permesso di seguire fino alla fine la bella presentazione con tanti protagonisti, insieme con Graziella Vizzarri: il sindaco di Larino, Avv. Notarangelo; la figlia di Ermanno, Liana, con uno dei due fratelli presenti; il prof. Pardo Spina; la prof.ssa Adele Terzano e Franco Rainone, che ha tirato le conclusioni. Nella possibilità di fare un intervento avrei detto “Grazie Ermanno e grazie a chi ha voluto dedicarti un pomeriggio di metà giugno ricco di ricordi e di emozioni, ma anche tanta musica ad accompagnare racconti e belle parole”.
Liana La Riccia, Graziella Vizzarri, Pardo Spina, Vincenzo Notarangelo, Adele Terzano
P.S.

Grazie Ermanno anche per l’intervista che mi hai fatto e che hai pubblicato su Il Messaggero di San Antonio del novembre 1996 e che ritengo di dover allegare per far capire il tuo amore per la tua terra, ma anche, questa tua lunga collaborazione con il periodico italiano più diffuso al mondo.

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