Partire dalle radici per comprendere il senso dell'associazionismo agricolo

A pochi giorni dalla nuova assemblea elettiva della Cia, occorre ricordare dove fondano le radici dell'associazionismo agricolo. Lo facciamo ricordando la figura di Bruno Bartoli, allora Presidente dell’Alleanza dei Contadini della Provincia di Firenze, anche per restituire speranza ai giovani disillusi


La prossima settimana si svolgerà il VII Congresso della Cia - Agricoltori Italiani, l’organizzazione nata dalla CIC (Confederazione Italiana Coltivatori), che ho avuto la fortuna, nella veste di membro della Presidenza dell’Alleanza dei Contadini Toscani, di collaborare alla sua promozione e fondazione in Toscana, e. poi, a livello nazionale, quale delegato al Congresso di fondazione di questa nuova organizzazione, che raccoglieva la storia e l’esperienza di altre organizzazioni, l’Alleanza dei Contadini, di matrice comunista; l’UCI, Unione Coltivatori Italiani, di matrice socialista e la gloriosa Federmezzadri, una forte componente della CGIL.
A Roma sono andato con la grande squadra dei fondatori della Toscana, la delegazione più numerosa dopo quella emiliana romagnola. Una grande emozione quella vissuta con la partecipazione al congresso che c’è stato a Roma nei giorni precedenti il Natale del 1977. Un’emozione che raccoglieva tutte le emozioni vissute nelle assemblee e congressi fondativi, che si sono svolti in tutta la Toscana, insieme con i nuovi compagni di percorso, soprattutto i mezzadri, che sono stati tanta parte della storia toscana, soprattutto dopo la guerra, quando con il ritorno alla democrazia, si son presi la responsabilità di vivere le grandi lotte contro padroni - parassiti e prepotenti -- per una diversa ripartizione delle quote fissate da leggi obsolete.
Quando hanno preso in mano il governo dei Comuni e delle Province e, poi, della Regione Toscana, dimostrando di essere amministratori capaci, onesti e, soprattutto, lungimiranti.
Una storia che continua ancora oggi e vive con la rabbia e l’impegno di figli e nipoti di questi uomini che avevano a f
ianco grandi donne, la famiglia. Una rabbia per un mondo che non va e, soprattutto, contro i processi, avviati da qualche decennio, che hanno portato a diffondere il bubbone del trasformismo con l’accettazione di uno stato di rassegnazione, l’unico male che non ha mai colpito i mezzadri.
Ho vissuto quei giorni a Roma a fianco di Bruno Bartoli, allora Presidente dell’Alleanza dei Contadini della Provincia di Firenze, dove avevo iniziato a vivere la mia esperienza di sindacalista del mondo contadino. Una grande scuola animata da bravissimi maestri, uomini capaci di trasmetterti le loro passioni, i loro valori, la vita.
Ho parlato della mia grande emozione e di quella di Bruno Bartoli, uno dei miei maestri di vita, importanti, che, nell’occasione, aveva mostrato d avere più emozione della mia, e, a giusta ragione, visto che si stava celebrando il grande sogno dell’unità del mondo contadino (intanto di quello d’ispirazione della sinistra) e della sua riscossa, nel momento in cui c’era forte bisogno di questo mondo e dell’agricoltura per un corretto ed equilibrato sviluppo economico, capace cioè di avere il perno su cui poter girare e, così, produrre quei risultati di progresso civile e sociale, oltre che economico, di cui il Paese aveva forte bisogno.
Sarà stata quella grande nostra emozione condivisa in quei giorni, che avrà spinto Bruno a chiedere a me la presentazione del suo bellissimo libro “Un uomo fortunato”, vincitore del Premio LiberaEtà. Un libro di 232 pagine, che si può richiedere a “LiberEtà, la rivista delle generazioni che s’incontrano”, che Bruno scrive – quando in pensione nella sua Empoli si occupa dei pensionati – per raccontare la sua vita di figlio di mezzadri, componente di una famiglia che ha sofferto la fame, il freddo, il duro lavoro e le offese del padrone, all pari di tutte le altre famiglie di mezzadri. Questa vita diventa esperienza che genera la voglia di reagire e resistere, ribellarsi contro un mondo, allora in guerra e sotto la dittatura fascista, con l’esempio della Resistenza a questa dittatura e la voglia di riscatto. Un riscatto che apre alla democrazia, alla solidarietà, alla giustizia e vede Bruno e il suo mondo dei mezzadri e degli altri che vivono la campagna, protagonisti di nuove lotte e di nuovi impegni. Uno, quello di militante dentro il sindacato che lo porta a vivere gli stessi valori e le stesse passioni con altri lavoratori, in particolare gli operai delle fabbriche.
E’ bella la sua dichiarazione d’amore per il sindacato “ Ho sempre sostenuto che quando il sindacato mi ha dato è stato più di quanto gli abbia restituito”. Il sindacato, i compagni, la famiglia di ieri e di oggi, la sua vita, sono le ragioni prime che lo portano a dichiararsi “un uomo fortunato”.
Un libro di grande attualità e, ne sono convinto, una sua lettura farebbe bene ai giovani che hanno bisogno di speranze, ma, soprattutto a quanti si sentono di rappresentare il mondo delle campagne e dare ad esso le speranze dei “Bruno”, che non stanno nella perfetta organizzazione di uffici capaci di sbrigare bene le pratiche burocratiche, ma nella partecipazione degli iscritti alle scelte dell’organizzazione. Gli uffici per una quantità esagerata di burocrazia, nata e cresciuta non a caso, che sta soffocando il coltivatore - come a me piace ancora chiamare chi lavora la propria terra- e che rende ancor più difficile la vita di chi vogliono servire.
Il mondo dell’agricoltura ha bisogno di capire chi sono i suoi padroni di oggi, quelli che lo stanno riducendo a poca cosa e spingono i suoi protagonisti ad abbandonare il campo, proprio nel momento in cui il Paese ha bisogno di agroalimentare, soprattutto della qualità e della diversità che i nostri preziosi “coltivatori” hanno saputo esprimere nel tempo, con il risultato del primato delle indicazioni geografiche, dop e igp, l’immagine che vive il cibo italiano nel mondo, grazie anche alle iniziative e alla bravura dei nostri cuochi.
Ha, il mondo che si vuole rappresentare, il bisogno di capire che il problema oggi dell’agricoltura italiana, è non solo il suo problema, ma dell’intero mondo dei consumatori, i cittadini, che, al pari dei coltivatori stanno pagando duramente un tipo di sviluppo che vede una sola agricoltura, quella industriale. Un’agricoltura che, non solo è contro l’altra, quella contadina, ma contro un Paese che ha il pregio di avere un territorio ricco di colline e di montagne, con le stesse poche pianure, dove ancora rimane del terreno agricolo, che hanno ancora viva nella loro memoria la presenza di un mondo, quello contadino, non inventato, ma vero.
Un mondo che ha tutto per contribuire a far vivere, non solo - come scrive Bruno - una società più giusta, ma quel futuro migliore di cui tutti ne abbiamo bisogno.
di Pasquale Di Lena
Teatro Naturale pubblicato il 16 febbraio 2018 in Tracce > Cultura

Commenti

Post popolari in questo blog

Nel 2017 il mondo ha perso un’area di foreste grande quanto l’Italia. L’indagine di Global forest watch

Un pericoloso salto all'indietro dell'agricoltura

La tavola di San Giuseppe