La ricetta Greenpeace? Tagliare gli aiuti alle produzioni intensive

da Qualeformaggio

Da quel che si mangia dipende il futuro del pianeta - l'immagine ritrae una pagina della pubblicazione ''Meno è meglio'', dell'associazione ambientalistaIl futuro alimentare del pianeta ha una sola strada percorribile: quella delle produzioni estensive, da erba e da fieno. In sostanza, solo adottando una “dieta sana” potremo garantirci un “pianeta sano”. Ad affermarlo sono i vertici di Greenpeace Italia, che nei giorni scorsi hanno lanciato una campagna mediatica che si prefigge “l’obiettivo ambizioso, necessario e impellente di ridurre la produzione e il consumo e di carne e di prodotti lattiero-caseari del 50%, a livello globale, entro il 2050”.
Beninteso, le produzioni verso cui l’associazione ambientalista punta il dito sono quelle intensive, che hanno saccheggiato al pianeta risorse, hanno inciso in maniera estremamente negativa sull’ambiente e hanno spinto milioni di contadini in condizioni di forte disagio economico e, nei casi più gravi, nello stato di povertà (e verso il suicidio, ndr).
Vacche Montbeillard in un allevamento ecologico francese - l'immagine è tratta da una pagina della pubblicazione ''Meno è meglio'', dell'associazione ambientalistaFavorire carni e latti dell’erba e del fieno
Meno carne e meno prodotti lattiero-caseari intensivi, quindi, per un clima migliore, per la salvaguardia delle foreste e della biodiversità, per consumare e inquinare meno acqua, per il benessere vero degli animali (che debbono vivere all’aperto e brucare erba, ndr), per avere a disposizione cibo sano per le persone e quindi per una salute migliore dei consumatori, della gente.
Bisogna sconfiggere il mostro
“Gli allevamenti intensivi”, sottolinea Greenpeace in una nota stampa, “sono una grande fonte di emissioni di gas serra causate dall'uomo. Secondo i dati della Fao le loro emissioni sono pari a circa il 14% del totale. La gestione dei liquami, la produzione e l’uso di fertilizzanti e di pesticidi nella produzione dei mangimi, il processo di digestione dei ruminanti e il cambiamento d'uso del suolo (per la produzione di mangimi), generano grandi quantità di gas a effetto serra, come l’anidride carbonica, il metano e il protossido di azoto. Ridurre la produzione e il consumo di carne e di latte intensivi, e dei loro derivati, diventa una necessità fondamentale, e non più differibile, per rispettare gli impegni presi con l'Accordo di Parigi sul clima* ma non solo.
“Una vasta area di terra coltivabile e produzione agricola”, incalza l’associazione animalista, “è destinata alla mangimistica animale invece che a nutrire direttamente le persone: oltre il 50% nell’Unione Europea e circa 1/3 a livello globale, secondo i dati della Fao. Ciò comporta anche una minaccia per la sicurezza alimentare e un incremento del degrado dell’ambiente, deforestazione compresa, sia nell'Ue che a livello globale”.
“I principali rischi per la salute legati all'agricoltura e all’allevamento intensivo”, spiega Greenpeace, “sono legati a:
- sviluppo della resistenza agli antibiotici; e l’Italia è seconda solo alla Spagna in Unione europea per uso di antibiotici negli allevamenti;
- diffusione di malattie trasmissibili dagli animali alle persone, come l'influenza aviaria e suina, o la salmonellosi;
- inquinamento atmosferico causato dalle emissioni di ammoniaca; il 90% di queste proviene dal settore agricolo, secondo l'Agenzia europea per l'ambiente”.
Inoltre, le diete ad alto contenuto di carne rossa e carne lavorata, quando da zootecnia intensiva, sono associate a un incremento di malattie cardiovascolari, cancro e diabete.
Il problema sociale
“Il modello industriale di allevamento intensivo”, insiste l’associazione animalista, “è anche una strada senza uscita per molte aziende agricole a conduzione familiare che ora sono sull’orlo della bancarotta, intrappolate fra debiti e costi elevati per gli input esterni da un lato e bassi prezzi di mercato dall’altro”.
In Europa i settori della carne e della distribuzione sono molto concentrati, e le dimensioni degli allevamenti sono drasticamente cresciute negli ultimi dieci anni. Questo ha portato alla situazione attuale, in cui tre quarti degli animali da reddito sono allevati in aziende molto grandi. Nel contempo, il numero degli animali allevati nelle aziende a conduzione familiare e di piccole dimensioni si è più che dimezzato.
“Il numero pro-capite di polli, maiali e bovini*macellati tra il 1961 e il 2009”, sottolinea Greenpeace, “si è più che triplicato, raggiungendo nel 2009, oltre dieci animali macellati per ogni persona sulla Terra. Se il tasso resterà invariato, quest'anno 76 miliardi di animali verranno macellati per soddisfare il nostro consumo di carne e prodotti lattiero-caseari. Solamente in Italia nel 2016 sono stati macellati 2,8 milioni di bovini, 11,9 milioni di suini, 3 milioni fra ovini e caprini e 585 milioni di avicoli”.
Stop ai sussidi per i produttori intensivi
Numeri inconfutabili, che dimostrano quanto l’impatto degli allevamenti intensivi sia insostenibile. Ed è per tutti questi motivi  che l’associazione ambientalista ha annunciato la presentazione di una richiesta, indirizzata sia all’Unione Europea che al prossimo Governo italiano, per mettere fine ai sussidi che sostengono le produzioni intensive di carne, di latte e derivati e per incrementare quelli destinati alle produzioni ecosostenibili.
È giunto il momento, insistono giustamente i vertici di Greenpeace Italia, di “adottare politiche che promuovano la produzione di alimenti da aziende agricole ecologiche e locali. Politiche che guidino anche il cambiamento delle abitudini alimentari e dei modelli di consumo finalizzati a ridurre il consumo di carne e prodotti lattiero-caseari”.
“Il cibo”, conclude Greenpeace, “è uno strumento molto potente che tutte le persone possono usare per avviare la trasformazione - necessaria e urgente – dell’attuale modello agroalimentare e contribuire a costruire un futuro migliore per noi, i nostri figli e i nostri nipoti. Le scelte alimentari che facciamo oggi determinano lo stato del Pianeta sul quale vivranno domani”. In poche parole la scelta è obbligata ed è quella di “Una dieta sana, per un Pianeta sano”.
16 aprile 2018

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